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Cosa succede se salta davvero Schengen

Quello della sospensione del trattato sulla libera circolazione in Europa è uno spauracchio che si agita da qualche tempo, come possibile soluzione alla crisi dei migranti e all’emergenza terrorismo. Chiudere le frontiere, si sostiene, protegge i nostri stati. Il punto è: un provvedimento del genere inciderebbe maggiormente su i flussi di migranti e foreign fighters o sui cittadini europei?
A cura di Claudia Torrisi
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frontiera ue

L'Unione europea ha redatto un rapporto dedicato alla Grecia, in cui chiede al governo di Tsipras di riprendere il controllo della situazione frontiere e migranti. L'operazione andrà fatta entro tre mesi, altrimenti si va al blocco di Schengen per due anni. Quello della sospensione del trattato sulla libera circolazione in Europa è uno spauracchio che si agita da qualche tempo, come possibile soluzione alla crisi dei migranti e all'emergenza terrorismo. Già sei dei ventisei paesi membri dello spazio Schengen hanno reintrodotto controlli temporanei alle frontiere: è partita la Germania a settembre, poi Austria e Slovenia, la Francia dopo gli attentati di Parigi e dall'inizio del 2016 anche Svezia e Danimarca. Nelle numerose riunioni e vertici europei che si stanno susseguendo nelle ultime settimane, si parla insistentemente di Schengen che "scricchiola". L'Italia non sembra propensa ad accettare questa eventualità: recentemente il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha detto senza il trattato si "tradisce l'idea stessa di identità europea" e anche il ministro dell'Interno Angelino Alfano ha detto che "Schengen non si tocca" – anche se, a dir la verità, solo due mesi fa ne chiedeva una "revisione delle procedure". Al di là dei diversi leader europei che hanno già provveduto a un ripristino dei controlli, anche nel nostro paese ci sono spinte anti Schengen, soprattutto dalla Lega Nord di Matteo Salvini.

Proprio il Carroccio ha organizzato a fine gennaio un convegno con i rappresentanti dei partiti euroscettici europei a Milano. In quell'occasione, l'ospite d'onore e leader del Front National Marine Le Pen si era detta soddisfatta della crisi di Schengen, che non aveva esitato a definire "un'infamia". In generale, le anime più nazionaliste gioiscono per la fine del trattato.

L'accordo di cui si parla è stato firmato nel 1985 in una piccola cittadina del Lussemburgo – Schengen, appunto. Sostanzialmente si tratta dell'istituzione di una zona di libera circolazione tra i paesi che l'hanno sottoscritto (che sono 26, di cui 22 membri dell'Unione europea): all’interno di quest'area i cittadini dell’Ue e quelli di paesi terzi possono spostarsi liberamente senza essere sottoposti a controlli alle frontiere. Per intenderci: è il motivo per cui non facciamo code in aeroporto o nelle stazioni per i controlli quando ci spostiamo all'interno dell'Europa – o della maggior parte di essa – prendiamo voli low cost per fare improvvisati weekend all'estero o possiamo trasferirci a studiare o lavorare in Francia, Austria o altro senza doverci sottoporre a una lunga trafila burocratica. In più, l'appartenenza a Schengen comporta anche cooperazione tra le polizie degli stati, che condividono dati e informazioni.

Chi spinge per la sospensione lo fa adducendo due tipi di motivazioni: la crisi immigratoria e la minaccia terroristica. Chiudere le frontiere, si sostiene, protegge i nostri stati. Il punto è: un provvedimento del genere inciderebbe maggiormente su i flussi di migranti e foreign fighters o sui cittadini europei? Al di là delle pericolose suggestioni dell'ergere sempre più muri – anche interni – nella "fortezza Europa", ci sono un paio di aspetti da considerare.

I costi del ripristino dei controlli alle frontiere

Secondo le stime della Commissione europea i costi immediati per rimettere in piedi il sistema di verifiche ai confini sarebbero di circa 7,1 miliardi l'anno a carico dei governi. Solo 1,1 sarebbe necessario per ripristinare le procedure di controllo dei passaporti. Secondo uno studio realizzato da France Strategie, un think-thank governativo francese, una ripresa delle frontiere avrebbe la conseguenza di far calare gli scambi commerciali all'interno dell'Unione europea del 10-20%. Un danno equivalente a quello che produrrebbe una tassa del 3% su tutti i beni trasportati. A svanire nel nulla sarebbe lo 0,8% del Pil dell'area, che significa 28 miliardi per la Germania, 13 per l'Italia, 10 per la Spagna e 6 per l'Olanda. Per le stime della commissione ci sarebbero circa 3,4 miliardi di perdite a causa delle attese cui sarebbero costretti gli autotrasportatori alle frontiere, colpendo le circa 57 milioni di operazioni internazionali su strada. L'Ispi ha riportato una stima del Fondo monetario internazionale realizzata quando venne istituito Schengen: l'effetto positivo sull’interscambio sarebbe stato di 1-3 punti percentuali di Pil per i paesi partecipanti, ciò che oggi equivale a circa 30-90 miliardi di euro di maggiori scambi annui grazie alla libera circolazione di merci e servizi.

Secondo l'istituto, "le esportazioni di paesi Ue verso altri paesi Ue ammontano a oltre 2900 miliardi di euro, circa i due terzi delle esportazioni totali". In particolare, "l’Italia esporta verso altri paesi Ue beni per 208 miliardi, ovvero quasi il 55% delle proprie esportazioni". Con un ripristino delle frontiere, ovviamente, non si fermerebbe l'interscambio ma ci sarebbero notevoli rallentamenti, specialmente per quanto riguarda le merci trasportati su tir o treni. "Se si considera che ogni anno i veicoli che attraversano una frontiera Schengen sono 60 milioni – scrive l'Ispi – e se ipotizziamo che ciascun veicolo perda mezz’ora in maggiori controlli, possiamo calcolare perdite per oltre 1,5 miliardi di euro". A pagare il conto più salato di tutto questo sarebbero i paesi più piccoli e più dipendenti dagli scambi interni all'Unione: nello studio di France Strategie si fa l'esempio dell'economia della Slovacchia, che per il 70% dipende dai rapporti commerciali con gli altri paesi dell'aerea. Senza contare i danni sulle merci deperibili: se dalla Spagna parte un carico di frutta diretto all'est Europa dovrà attraversare almeno quattro frontiere.

Code, pendolari e viaggiatori

A subire le conseguenze della sospensione di Schengen non sarebbero solo le merci e il commercio, ma anche pendolari e viaggiatori. Gli effetti sono già visibili, ad esempio, in Svezia e Danimarca, dove sono stati reintrodotti i controlli sul Ponte di Øresund, che collega Copenhagen a Malmöe. I pendolari danesi hanno allungato il viaggio di circa 45 minuti a causa delle verifiche alle frontiere – che costano circa 150 mila euro al giorno. Alla dogana tra Francia e Belgio si sono create file di mezzora, mentre l'aeroporto di Helsinki sarà costretto ad assumere quindici nuovi addetti ai varchi immigrazione per smaltire le code post reintroduzione del controlli. Secondo France Strategie una coda di 10 minuti al confine per gli 1,7 milioni di persone che viaggiano da frontiera a frontiera crea un danno da 1,2 miliardi in un anno per l'economia europea. Posto che in Europa circolano 60 milioni di mezzi pesanti l'anno, bloccarli a ogni valico creerebbe un tappo non indifferente. E anche una spesa: a ogni confine servirebbe posizionare almeno due agenti (circa 300 milioni).

C'è poi la questione viaggiatori. Per l'Ispi i cittadini Ue hanno fatto 218 milioni di viaggi nel 2013. Allungare file e attese in dogane e aeroporti non è cosa da poco: significherebbe, per chi si muove, rivedere completamente i propri piani temporali. Per France Strategie a essere colpito sarebbe soprattutto il turismo giornaliero e dei weekend, che calerebbero del 5 e del 25%. Senza contare che aumenterebbero anche i costi degli spostamenti, circa 2,6 miliardi di euro l'anno in più. Una delle conseguenze potrebbe essere questa: il mercato europeo potrebbe non essere più attrattivo per le compagnie low cost, ad esempio, con buona pace di last minute a 19,90 euro. A spostarsi all'interno dell'Ue sono anche i lavoratori. Dei 218 milioni di viaggi calcolati dall'Ispi nel 2013, 25 milioni sono stati fatti per ragioni lavorative. Ci sono paesi in cui è usuale attraversare anche quotidianamente la frontiera come pendolare: accade al 5,7% della popolazione in Slovacchia, al 3,5% in Estonia e al 2,3% in Belgio. Nel 2014 oltre 101 mila italiani hanno lasciato il nostro paese per andare in altri stati membri. La fine di Schengen porterebbe con sé anche un irrigidimento di burocrazie e procedure che occorrono ai cittadini europei per spostarsi in un altro Stato e costruire lì la loro vita professionale. E lo stesso varrebbe per gli studenti, per i semestri in altra università.

Chiudere Schengen?

La ragione per cui alcuni stati chiedono di sospendere Schengen per due anni risiederebbe nella poca capacità di alcuni paesi che affacciano sulla frontiera esterna, tra cui l’Italia e la Grecia, di gestire il flusso di migranti e profughi che entrano nell’area comune. Uno dei capisaldi dell'Union europea, insomma, rischia di cadere sull'immigrazione – nonostante, come riporta Meltinpot.org, il regolamento di riforma del Codice delle frontiere Schengen afferma che "la migrazione e l’attraversamento delle frontiere esterne di un gran numero di cittadini di paesi terzi non dovreb­bero in sé essere considerate una minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza interna". Sospendere la libera circolazione inciderebbe in maniera non indifferente sul nostro modo di vivere, con restrizioni – e perdite – rilevanti. Ma, almeno, funzionerebbe? Secondo Christopher Hein, portavoce e consigliere strategico del Cir-Consiglio italiano per i rifugiati, intervistato da Radio Vaticana, "non è assolutamente una soluzione, né per i Paesi che decidono per il ripristino dei controlli alle frontiere, né certamente per i rifugiati, né per l’idea dell’Unione europea stessa. Le persone che fuggono dalla Siria, poi costrette ad andare via anche dai Paesi confinanti, Turchia, Libano, Giordania, e che arrivano quindi in Grecia rischiando la vita, non si lasciano spaventare dai controlli ai valichi di frontiera. Quindi avremo di nuovo un movimento irregolare di moltissime persone all’interno del continente e avremo anche nuove vittime".

Difficile non immaginare lo sviluppo di nuove soluzioni per penetrare i confini, magari con un rischio ancora maggiore per chi si mette in viaggio. Non una soluzione ma "un annuncio populista da parte di alcuni governi", in un clima in cui, anche in Italia, l'immigrazione fa sempre troppo rima con allarme. Kenan Malik, ha scritto sul Guardian che "la storia degli ultimi 25 anni ci dice che a prescindere da quanto si rafforzi la fortezza Europa, recinti e navi da guerra non fermeranno i migranti. Né controlli più rigidi modificheranno la percezione del problema tra l’opinione pubblica. Trasformare ancora di più l’Europa in una fortezza non contribuirà ad attenuare il senso di frustrazione così diffuso".

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