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Corte dei Conti: “Le tasse dei cittadini ai Comuni sono al limite”, +22% in 3 anni

In tre anni il peso del carico fiscale sugli italiani è cresciuto da 505.5 euro (2011) a 618.4 euro pro capite nel 2014. Allo stesso tempo tra 2010 e 2014 gli enti locali hanno subito tagli per circa “8 miliardi”. E per i contribuenti non ci sono stati benefici a livello di servizi.
A cura di Biagio Chiariello
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Il peso del fisco è arrivato al limite per i comuni. E’ l’allarme lanciato dalla Corte dei Conti che ha calcolato come in 3 anni i tributi locali siano aumentato del 22%, pari a 618 euro a testa per i cittadini, questo per compensare gli 8 miliardi di tagli subiti dalle città in 5 anni. In particolare, nell’ultimo triennio si è verificato un “incremento progressivo della pressione fiscale” comunale, passata dai 505,5 euro 2011 ai 618,4 euro pro capite 2014, si legge nella Relazione sulla finanza locale. Le cifre più consistenti sono versate da chi abita nelle città con più di 250 mila residenti, dove si arriva a 881,94 euro a testa. La dinamica delle entrate locali, scrivono i magistrati contabili, è dovuta soprattutto a “due fenomeni: il deterioramento del quadro economico, con effetti penalizzanti soprattutto sul gettito risultante dalle più ridotte basi imponibili” e dalle “numerose manovre di risanamento della finanza pubblica, i cui effetti prodotti dal disorganico e talvolta convulso succedersi di interventi sulle fonti di finanziamento degli enti locali hanno determinato forti incertezze nella gestione dei bilanci e nella formulazione delle politiche tributarie territoriali”.

Nessun beneficio dall'aumento delle tasse

Secondo la Corte dei Conti "la crescita dell'autonomia finanziaria degli enti, tuttavia, non sembra produrre benefici effetti né sui servizi, né sui consumi e sull'occupazione locale, in assenza di una adeguata azione di stimolo derivante dagli investimenti pubblici" e che "andrebbe dunque recuperato il progetto federalista che lega la responsabilità di ‘presa' alla responsabilità di ‘spesa', realizzando una necessaria correlazione tra prelievo ed impiego". Progetto "a cui è sicuramente funzionale la determinazione dei costi e dei fabbisogni standard, necessaria per superare definitivamente il criterio della ‘spesa storica', ma che i più recenti interventi normativi non sembrano sostenere adeguatamente, andando nella direzione di una maggiore flessibilità dei bilanci, di una effimera ricostituzione della liquidità con oneri di rimborso a lunghissimo termine e di un alleggerimento degli oneri connessi alla neonata disciplina dell'armonizzazione contabile".

Ma perché i Comuni hanno aumentato così tanto le tasse?

Perché, spiega ancora la Corte, tra il 2010 e il 2014 hanno subito tagli per circa “8 miliardi” e hanno messo in atto “aumenti molto accentuati” delle tasse locali “per conservare l’equilibrio in risposta alle severe misure correttive del governo”. Oggi tuttavia, scrivono ancora i magistrati, il peso del fisco è “ai limiti della compatibilità con le capacità fiscali locali”. “Sul fronte delle entrate – si legga in premessa nella relazione – il radicarsi di un meccanismo distorsivo, per cui il concorso degli Enti locali agli obiettivi di finanza pubblica pesa, in ultima istanza, sul contribuente in termini di aumento della pressione fiscale, trova origine nei pesanti e ripetuti tagli alle risorse statali disposti dalle manovre finanziarie susseguitesi dal 2011, cui fa eco il cronico ritardo nella ricomposizione delle fonti di finanziamento della spesa, necessaria per garantire servizi pubblici efficienti ed economici. Ciò aggrava e rende permanente l’inefficienza delle gestioni, nonostante l’incremento consistente delle entrate proprie (+15,63% rispetto al 2013) che fa crescere l’autonomia finanziaria oltre la soglia del 65% ed assorbe la diminuzione progressiva e costante dei trasferimenti (-27,29%)”.

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