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Corno d’Africa, il disastro che poteva essere evitato

Se le agenzie umanitarie e i governi non avessero indugiato tanto a lungo rispetto alla crisi del Corno d’Africa, molte tra le migliaia di vittime della siccità, la metà delle quali erano bambini al di sotto dei cinque anni, sarebbero state risparmiate.
A cura di Nadia Vitali
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Se le agenzie umanitarie e i governi non avessero indugiato tanto a lungo rispetto alla crisi del Corno d'Africa, molte delle 100 000 vittime della siccità, metà delle quali erano bambini al di sotto dei cinque anni, sarebbero state risparmiate.

Anziché prendere le misure precauzionali adatte a prevenire il verificarsi di un vero e proprio disastro, ONG e governi hanno preferito avere le prove concrete e manifeste del fatto che nel Corno d'Africa fosse in atto una catastrofe umanitaria; e così, sebbene nell'agosto del 2010 fosse stata già segnalata l'altissima probabilità della sciagura che stava per arrivare non troppo silenziosamente, si è aspettato fino a luglio dell'anno successivo per portare sulla situazione l'attenzione mondiale: quando ormai i tassi di malnutrizione erano scesi già troppo pericolosamente al di sotto della soglia definita «di emergenza».

Un pericoloso ritardo è il nome dell'ultimo rapporto scritto e diffuso da Oxfam e Save the Children in cui le due organizzazioni sottolineano come i lunghi mesi di indugio che hanno portato le agenzie umanitarie ad intervenire solo «a crisi acclamata» gravino come un macigno sulle coscienze di tutti: soprattutto a fronte delle stime del governo britannico che ha calcolato che nel solo periodo aprile-agosto 2011 i decessi sono stati tra i 50 000 ed i 100 000. Metà delle vittime della siccità in Somalia avevano meno di cinque anni. Il governo americano ha rilevato che in 90 giorni, tra maggio e luglio, sono stati 29 000 i bambini morti prima di raggiungere la soglia dei cinque anni di vita.

Se le agenzie umanitarie e i governi non avessero indugiato tanto a lungo rispetto alla crisi del Corno d Africa, molte tra le migliaia di vittime della siccità, la metà delle quale erano bambini al di sotto dei cinque anni, sarebbero state risparmiate.

Frammentarie e poco continuative le azioni preventive intraprese, fattore che ha pesato immensamente sui costi degli interventi divenuti inevitabili a partire dalla scorsa estate a causa di una crisi che globalmente ha colpito e sta colpendo ancora 13 milioni di persone in Etiopia, Somalia, Kenya e Gibuti: « Trasportare 5 litri di acqua al giorno per 5 mesi  – nel tentativo estremo di salvare la vita a 80 000 persone in Etiopia – costa più di 3 milioni di dollari. Al contrario, nelle prime fasi della siccità, sarebbero stati sufficienti 900 000 dollari per predisporre fonti di approvvigionamento idrico nelle stesse aree».

Quella che è stata imperdonabile negligenza per il Corno d'Africa ci si augura che diventerà esperienza per tutte le zone del pianeta: è ciò che auspicano gli autori del rapporto e quanto starebbe a cuore a tutti. La drammatica situazione della Somalia e dei paesi circostanti è stata a tutti gli effetti sottovalutata da organi governativi e di informazione e, di conseguenza, dalla quasi totalità dell'opinione pubblica occidentale, fino a quando non è esplosa nelle sue manifestazioni più tragiche: allorché anche la stampa e la televisione hanno iniziato ad interessarsi alla vicenda che forse, giunta all'apice della sua atrocità ne aveva assunto i toni spettacolari, l'Africa era già stata troppo duramente colpita dal flagello della fame.

“ Oggi la Somalia è ancora colpita dalla peggiore crisi alimentare del mondo ”
Oxfam e Save the Children

Come ha amaramente sottolineato il direttore generale di Save the Children, Justin Forsyth, «È una situazione grottesca che non può continuare: il mondo sa che c'è un'emergenza ma la ignora fino a quando non si vedono in tv le immagini di bambini disperati e malnutriti. I segnali erano chiari e con più soldi al momento opportuno la sofferenza di migliaia di bambini si sarebbe evitata».

Segnali che andranno interpretati con la dovuta tempestività per il nuovo preoccupante scenario che si sta profilando in un'area poco distante dell'Africa: nel Sahel, regione geografica che designa la fascia posta tra il deserto del Sahara e le savane dell'Africa Centrale, la contrazione del 25% nella produzione cerealicola, con il conseguente aumento dei prezzi superiore del 40% rispetto alla media dell'ultimo quinquennio, lascia prevedere una crisi alimentare che potrebbe verificarsi nell'arco di un tempo breve, seguendo quella del 2010 che ha già colpito 10 milioni di persone. L'imperativo, questa volta, è «fare presto».

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