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Consiglio di Stato: “Legittime le benedizioni a scuola”

Per i giudici il rito non può “in alcun modo incidere sullo svolgimento della didattica e questo non diversamente da altre attività parascolastiche”.
A cura di Davide Falcioni
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Le benedizioni effettuate dai sacerdoti a scuola, fuori dalle lezioni e facoltative, sono perfettamente legittime. A stabilirlo è stata una sentenza del Consiglio di Stato nella quale i giudici hanno accolto il ricorso presentato del ministero dell'Istruzione ribaltando la decisione del Tar Emilia Romagna che aveva annullato la delibera con cui un istituto di Bologna, nel 2015, le aveva autorizzate. I magistrati hanno specificato che, in ogni caso, il rito non può "in alcun modo incidere sullo svolgimento della didattica e questo non diversamente da altre attività parascolastiche".

I giudici, nello specifico, ritengono che il rito, per chi intenda praticarlo, "ha senso in quanto celebrato in un luogo determinato, mentre non avrebbe senso (o, comunque, il medesimo senso) se celebrato altrove; e ciò spiega il motivo per cui possa chiedersi che esso si svolga nelle scuole, alla presenza di chi vi acconsente e fuori dall'orario scolastico, senza che ciò possa minimamente ledere, neppure indirettamente, il pensiero o il sentimento, religioso o no, di chiunque altro che, pur appartenente alla medesima comunità, non condivida quel medesimo pensiero e che dunque, non partecipando all'evento, non possa in alcun senso sentirsi leso da esso". Al rito delle benedizioni pasquali, inoltre, non può essere attribuito "un trattamento deteriore rispetto ad altre diverse attività ‘parascolastiche' non aventi alcun nesso con la religione". "C'è da chiedersi – prosegue la sentenza – come sia possibile che un (minimo) impiego di tempo sottratto alle ordinarie e le attività scolastiche, sia del tutto legittimo o tollerabile se rivolto a consentire la partecipazione degli studenti" ad attività culturali, sportive o ricreative "mentre si trasformi, invece, in un non consentito dispendio di tempo se relativo ad un evento di natura religiosa, oltretutto rigorosamente al di fuori dell'orario scolastico".

Per i giudici, dunque, è in ossequio a un elementare principio di non discriminazione che "non può attribuirsi alla natura religiosa di un'attività, una valenza negativa tale da renderla vietata o intollerabile unicamente perché espressione di una fede religiosa, mentre, se non avesse tale carattere, sarebbe ritenuta ammissibile e legittima".

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