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Conferenza di Parigi, verso la firma di un accordo “ambizioso e storico”

La bozza ora deve solo essere firmata dall’assemblea plenaria che rappresenta 190 paesi e il 93% delle emissioni. Un accordo “giuridicamente vincolante” nato da un obiettivo: fermare il riscaldamento globale.
A cura di Redazione
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Foto panoramica di Pechino di Kevin Frayer/Getty Images.
Foto panoramica di Pechino di Kevin Frayer/Getty Images.

L'obiettivo è limitare il riscaldamento globale, per poi arrestarlo e convertire l'umanità ad un'economia ad emissioni zero nel corso della seconda metà del secolo corrente. Cop21, la conferenza sul clima in corso a Parigi, cerca di imprimere un'accelerazione sulle politiche nazionali inerenti l'ambiente, ma, come è sempre accaduto in un tema che attiene ad energia ed economia nazionali, trovare il punto di incontro è estremamente difficile. Diverse sono state le bozze di accordo scritte dai rappresentanti dei 190 governi riunitisi nella capitale francese e sempre più snello il testo presentato di volta in volta con un sospeso ed una parentesi su cui parlare ancora. Ora però non resta che presentare il documento definitivo all'assemblea plenaria.

Un occhio prima di tutto sull'ambizione, vocabolo che è tornato spesso in questi giorni, con l'invito di Laurent Fabius, ministro degli esteri francesi, a puntare più in alto. Secondo la nuova bozza, l'aumento delle temperature è fissato "ben al di sotto dei 2 gradi centigradi entro il 2020, quasi 1,5°". Altri principi su cui si è dibattuto molto, con l'obiettivo di far convergere gli interessi talora molto distanti delle nazioni rappresentate al Cop21, sono differenziazione e climate finance, ossia gli investimenti utili a ridurre le emissioni. La differenziazione, in particolare, ha rappresentato uno degli argomenti più difficili, poiché fa riferimento a politiche differenti dei singoli stati sulla questione ambientale secondo responsabilità storica delle nazioni.

Parte del dibattito si è dunque concentrata su quale sia il peso delle responsabilità di due economie, quella dei paesi sviluppati e quella dei paesi in via di sviluppo. Da una parte la Cina puntava il dito contro le principali economie OCSE, dall'altra gli Usa, attraverso le parole del Segretario di Stato John Kerry, osservano che "l’inquinamento da carbonio è inquinamento da carbonio; che arrivi da Baltimora, Pechino, Calcutta o dalla California", alludendo in tal modo a responsabilità che, rispetto al Protocollo di Kyoto del 1997, sono profondamente mutate. Un dibattito che comunque ha prodotto un testo "definitivo" (ma comunque in attesa di ratifica da parte dell'assemblea) che stabilisce – come riportato dal ministro Fabius – un "fondo da 100 miliardi di dollari per i Paesi in via di sviluppo da qui al 2020 sarà un punto di partenza, un nuovo obbiettivo con un altra cifra dovrà essere stabilito nel 2025". Ambizione e disponibilità alla negoziazione – principi all'apparenza confliggenti – avrebbero prodotto in realtà, secondo Fabius, "una bozza di accordo ambiziosa e bilanciata, giuridicamente vincolante, un punto di svolta storico» .

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