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Condannato a 9 anni il jihadista devastatore di Timbuktu: “È un crimine di guerra”

Con una decisione epocale, la corte penale internazionale ha giudicato colpevole di crimini di guerra Ahmad Al Mahdi Al Faqi, ex capo della polizia islamica accusato di avere distrutto gran parte del patrimonio archeologico di Timbuktu, nel nord del Mali nel 2012.
A cura di Redazione Cultura
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Ahmad Al Mahdi Al Faqi, l’ex capo della polizia islamica del gruppo Ansar Dine, legato ad al Qaida
Ahmad Al Mahdi Al Faqi, l’ex capo della polizia islamica del gruppo Ansar Dine, legato ad al Qaida

Una decisione che farà epoca. La Corte penale internazionale (CPI) ha giudicato colpevole di crimini di guerra Ahmad Al Mahdi Al Faqi, l’ex capo della polizia islamica del gruppo Ansar Dine – legato ad al Qaida – accusato di avere partecipato alla distruzione dei mausolei a Timbuktu nel nord del Mali nel 2012. Come Goering, dunque. Come Milosevic.

L’uomo è stato condannato a 9 anni di carcere. Nel corso del procedimento, il primo del genere nella storia, Faqui si era dichiarato colpevole e "molto dispiaciuto" per ciò che aveva contribuito a realizzare, cioè distruggere buona parte del patrimonio archeologico della città di Timbuktu, in Mali.

Una decisione, quella presa dalla Corte Internazionale dell'Aia in merito alla condanna a 9 anni di carcere di Ahmad Al Faqi Al Mahdi, che per la prima volta associa la distruzione di beni culturali a crimini di guerra veri e propri. Durante il processo l'imputato, uno dei capi di Ansar Dine, è stato accusato di crimini di guerra per aver "intenzionalmente diretto degli attacchi" contro nove mausolei della città e contro la porta della moschea Sidi Yahia tra il 30 giugno e l'11 luglio 2012.

Timbuktu patrimonio mondiale dell'umanità

Timbuktu era stata dichiarata dall’Unesco nel 1988 patrimonio mondiale dell’umanità e nel 2012 ha vissuto per mesi sotto la ferrea legge della sharia, imposta dagli integralisti. Fondata tra l’XI e il XII secolo dai tuareg, l’antica capitale del regno di Kankou Moussa, imperatore del Mali, deve il suo nome a una schiava berbera, Bunctù che visse intorno al 1100 e svolse il compito di guardiana di un pozzo, situato proprio nel luogo dove poi sarebbe sorta la città. Considerata una delle località più affascinanti del continente, è stata un grande centro intellettuale dell’Islam e un importantissimo snodo commerciale dove transitavano carovane da tutto il continente. Prima deposito, poi accampamento, poi villaggio sempre più prospero, Timbuctu si trova infatti all’incrocio delle grandi piste carovaniere nell’ansa del fiume Niger e raggiunge il suo massimo splendore tra il XIV e il XVI secolo. Dell’esistenza di Timbuctu si discute in Europa fino ai primi dell’Ottocento, poi Renè Cailliè, esploratore francese travestito da nomade arabo, riesce a entrarvi nel 1828 e la consegna dal mito alla storia.

Le reazioni in Mali

Dopo la condanna della Corte dell’Aja per la distruzione dei mausolei di Timbuktù, ecco la prima reazione del capo della missione culturale del governo del Mali a Timbuktù Al Boukhari Ben Essayouti :

L’obiettivo del processo non è solo quello di far condannare Ahmad Al Faki, la sentenza serve a far capire a tutti che così come quando si uccide un uomo si viene condannati, anche quando si distrugge il patrimonio culturale si può essere condannati. Qesto è il messaggio essenziale.

I precedenti: i Buddha in Afghanistan e la devastazione di Palmira

È la prima volta che la Corte dell’Aja ha emesso una condanna assimilando un atto di distruzione del patrimonio storico artistico dell’umanità a un crimine di guerra. In principio, c’erano stati i Buddha di Bamiyan distrutti dai talebani in Afghanistan nel 2001, negli ultimi mesi è stata Isis a ereditare la furia contro l’arte e la cultura: a Palmira in Siria, a Ninive in Iraq e in Libia sono stati polverizzati templi, statue e reperti archeologici.

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