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Commissione Antimafia: “Forte rischio infiltrazione nei Comuni al voto”

Repubblica questa mattina riporta stralci di una relazione firmata dalla presidente in cui si legge che “la principale porta d’ingresso delle mafie nella gestione delle risorse pubbliche risiede nella politica e nell’amministrazione locale, con le forme tipiche della violenza, dell’intimidazione e della corruzione”.
A cura di Claudia Torrisi
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Dalla commissione Antimafia presieduta da Rosy Bindi arriva una denuncia chiara: le organizzazioni criminali sono pronte a infiltrarsi nei Comuni interessati dal voto di giugno. Repubblica questa mattina riporta stralci di una relazione firmata dalla presidente in cui si legge che "la principale porta d'ingresso delle mafie nella gestione delle risorse pubbliche risiede nella politica e nell'amministrazione locale, con le forme tipiche della violenza, dell'intimidazione e della corruzione". Una via che consente un "ingresso ‘legale' della criminalità nella vita dell'ente, attraverso la raccolta del consenso". Il testo sarà votato la prossima settimana (ieri è stato presentato all'ufficio di presidenza). Denuncia un "vero e proprio attacco concentrico delle mafie alle istituzioni", con tratti "quasi emergenziali per la nostra democrazia". Secondo la commissione presieduta da Bindi, "si assiste a un'impressionante progressione degli scioglimenti dei consigli comunali, sempre più anche al Nord. Anche con forme di mafia ‘originale e originaria', scoperta a Roma con l'inchiesta ‘Terra di mezzo'". Affermazioni corroborate dai dati: solo nel 2015 ci sono stati 33 commissariamenti, per un totale di 713 mila abitanti; dal gennaio 2013 ad aprile 2014 si contano 1.265 intimidazioni contro gli amministratori. Un quadro definito "devastante".

La richiesta della commissione è dupilice: dal governo si auspica un intervento legislativo il più celere possibile che dia gli strumenti per individuare gli "incandidabili"; mentre dalle liste ci si aspetta il rispetto del codice di autoregolamentazione, che esclude anche i semplici imputati per alcuni reati. Dal canto suo, invece, l'Antimafia non stilerà un elenco nazionale di "impresentabili" – come avvenuto in occasione delle elezioni nazionali – ma si occuperà di mettere in luce solo le quindici amministrazioni più a rischio, in cinque Regioni, passando al setaccio le liste. Poi si occuperà di stilare relazioni dettagliate per i comuni di Roma, Sant'Oreste e Morlupo nel Lazio, Badolato, San Luca, Platì, Scalea, Ricadi e San Sostene in Calabria, Battipaglia, Trentola Ducenta e Villa di Briano in Campania, Diano Marina in Liguria e Finale Emilia in Emilia Romagna.

L'Antimafia, riporta sempre Repubblica, propone un intervento di ritocco sulle norme a disposizione:

la possibilità di ampliare a una settimana i termini di verifica per le commissioni elettorali, l'obbligo per i candidati di allegare il certificato dei carichi penali pendenti e la presenza di magistrati nella commissioni elettorali. Nella relazione si immagina anche un'anagrafe unica dei candidati, da rendere accessibile sul web. Ai partiti, poi, si consiglia di dotarsi di "pagine web dedicate alla politica trasparente". Accanto a questa sfida, l'Antimafia reclama pene più severe per lo scambio politico-mafioso e l'allargarmento della Severino alle ipotesi più gravi di reati elettorali. È una "malattia sistemica" e occorre una "terapia di sistema", è la conclusione della commissione. Cambiando alcune pratiche di un movimento antimafia a volte riservato a "specialisti e mestieranti". Ma soprattutto trasformando il dna dei partiti – "tutti, perché nessuno può ritenersi immune dal condizionamento o peggio dall'infiltrazione" – affinché ripensino la governance, a partire dalla preselezione delle primarie dei gazebo o sul web.

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