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Come trasformare tre parole volgari in tre parole ricercate

La lingua italiana ci offre soluzioni molto interessanti per passare – con una sola parola – da un discorso volgare, triviale o basso a uno brillante, elegante e fine. Vediamo tre esempi!
A cura di Giorgio Moretti
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Scatologia

Le feci sono fra i pilastri portanti della lingua. Invitano una mole di metafore, di similitudini, di analogie e di interiezioni pareggiata soltanto da quelle invitate dai genitali.

Ora, il riferimento a questi oggetti, quando è indispensabile e opportuno, spesso richiede di essere… ripulito. Ma spesso questo intento eufemistico si traduce nell'uso di parole tecniche e goffe come – appunto – ‘feci', ‘escrementi', ‘deiezioni', ‘sterco' e via dicendo. Che (diciamoci la verità) spesso dissonano col tono del discorso e sono una foglia di fico, anche piuttosto affettata.
Corre in nostro aiuto un termine di origine greca, che per essere appreso richiede un attimo di presenza mentale, e che però permette manovre linguistiche alte, agili e gustose: scatologia (da ‘skatòs‘ escremento e ‘loghìa' discorso).

Propriamente la scatologia è il discorso, scritto o detto, che ha per tema lo sterco. E capiamo subito la quantità di casi in cui un riferimento del genere torni utile.

Vogliamo riprendere qualcuno perché si sta facendo sfuggire qualche ‘merda' di troppo in un discorso serio? «Al netto dei riferimenti scatologici, dice cose sensate.»
Il vicino zozzone fa ponzare serenamente il cane davanti al tuo portone di casa? Puoi restituire il prodotto interno lordo dell'amico a quattro zampe imbucandolo fra la posta con un biglietto: «Non amo discorsi scatologici, ma questa è sua.»

Lenone.

Quando si parla di sfruttamento della prostituzione l'argomento è sempre delicato. Fra l'altro, anche perché non si sa mai come è opportuno chiamare i diligenti impresari del racket che tengono in stato di servitù le persone che si prostituiscono.

‘Magnaccia' e ‘pappone' sono termini gagliardi, ma di registro bassissimo. ‘Protettore'? Ma per favore, vogliamo davvero descriverlo con una qualità positiva? ‘Ruffiano'? Oggi vuol dire un'altra cosa. E ‘sfruttatore' è troppo generico. Stavolta chi ci aiuta? Il termine ‘lenóne'.
Ha la grazia alta di un'antica ascendenza latina e tutta la miseria del significato che già presso i latini aveva. «Hanno finalmente arrestato il lenone che gestiva la prostituzione nel quartiere.»

Flatulenza.

‘Flatulenza'. Non ‘flautulenza'. Per quanto la sua base etimologica sia comune al flauto (dal latino ‘flatus‘, fiato) l'ortografia fa curata. In questo caso abbiamo una parola molto equilibrata per significare la congerie dei fiati posteriori – i quali hanno spesso nomi tanto fantasiosi e coloriti quanto bassotti e triviali.
È vero, ‘flatulenza' ha un tono un po' tecnico, ma è una parola nota, e diffusa è l'ironia che ribalta in simpatia questa sfumatura. Il che le fa meritare quello sforzo di pensiero, ricerca e presenza in più necessario a usarla.

Così all'amico che va per i trenta domanderemo se davvero ancora trova spassoso modulare in pubblico sonore flatulenze.

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Nato nel 1989, fiorentino. Giurista e scrittore gioviale. Co-fondatore del sito “Una parola al giorno”, dal 2010 faccio divulgazione linguistica online. Con Edoardo Lombardi Vallauri ho pubblicato il libro “Parole di giornata” (Il Mulino, 2015).
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