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Chi è Rafael Spregelburd? Ritratto dell’uomo che ha cambiato per sempre la scena

È una delle personalità più innovative del teatro contemporaneo, i suoi testi sono tradotti in ben undici lingue e rappresentati in tutto il mondo. Uomo di teatro totale (drammaturgo, attore, regista) è tra i pochissimi ad aver elaborato un’affascinante teoria del dramma contemporaneo in cui mescola arte e biologia, fisica e letteratura.
A cura di Andrea Esposito
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In occasione del passaggio al Teatro India di Roma dello spettacolo “Furia avicola”, una co-produzione CSS Teatro stabile di innovazione del FVG /Fattore K, abbiamo incontrato Rafael Spregelburd, il drammaturgo, regista e attore argentino classe 1970, che negli ultimi anni si è imposto sulla scena internazionale come uno dei massimi autori e teorici del teatro. In Italia non sono pochi i critici che lo definiscono “un genio” e la sua scoperta è da ritenersi forse come l’ultima grande intuizione del compianto Franco Quadri che nel 2010 pubblicò, con la traduzione e la curatela di Manuela Cherubini, “Eptalogia di Hieronymus Bosch” un fiore di sette opere ispirate alle tavole del pittore fiammingo dove i sette peccati capitali diventano una delirante cartografia della morale moderna.

Biografia

La carriera di Spregelburd inizia a Buenos Aires intorno alla prima metà degli anni ‘90 dove studia recitazione. Ben presto decide di dedicarsi alla scrittura sotto la guida di maestri come Mauricio Kartun e Ricardo Bartis. Il passaggio alla regia avviene quasi subito e dal 1995 porta in scena i suoi primi lavori e occasionalmente degli adattamenti da Pinter, Sarah Kane, Martin Crimp. Ha tenuto corsi di drammaturgia in università sia sudamericane che europee, e ha ricevuto commissioni per nuove drammaturgie da istituzioni come il Deutsches Schauspielhaus di Amburgo, il Royal Court Theatre di Londra, la Schaubühne di Berlino, il Schaupielfrankfurt, il Nationaltheater di Mannheim.

Testi

Spregelburd è tradotto in inglese, tedesco, francese, italiano, portoghese, polacco, ceco, russo, greco, slovacco, catalano, olandese, croato, turco e svedese. Fino ad oggi ha pubblicato quasi venti libri tra saggi e pièce. Disponibili in italiano, oltre alla già citata “Eptalogia di Hieronymus Bosch”, c’è “Lucido” (con tre scritti) e il recente “Il teatro, la vita e altre catastrofi” presentato lo scorso febbraio al Teatro di Roma e che contiene saggi e riflessioni sulla drammaturgia, sul teatro e sul rapporto tra arte e scienza. Per farvi un’idea più precisa su questo libro e sulla sua poetica in generale vi rimando al videoritratto in testa all’articolo, in cui è lo stesso Spregelburd a esporre le sue teorie con una freschezza, una chiarezza e un nitore che lascia davvero senza parole.

Bizarra, una saga argentina

Quando nel 2010 il Napoli Teatro Festival Italia, diretto allora da Renato Quaglia, presentò in cartellone lo spettacolo “Bizarra”, con la traduzione e la regia di Manuela Cherubini, Spregelburd non era ancora molto conosciuto. Fu una scommessa, una grande scommessa: portare in scena una “teatronovela” argentina divisa in 22 episodi, uno a sera per tutta la durata del Festival. Chi c’era ricorderà che non fu solo un grande successo di pubblico e di critica, ma fu qualcosa di diverso. “Bizarra” portò una ventata di entusiasmo senza pari. Ma qui a Napoli ebbe un effetto dirompente perché le due realtà, quella di Buenos Aires e dell’Argentina in generale e quella napoletana sono davvero molto vicine. Il tratto comune è il radicamento profondo che il teatro e soprattutto un certo tipo di teatro, popolare, comico, grottesco, ha nella società. Ciò che le distingue invece è il fatto che qui da noi il peso della tradizione ha fatto sì che quella radice vitale nel corso degli ultimi decenni si sclerotizzasse, schiacciando la nuova drammaturgia, appiattendosi su un passato sempre glorioso con un approccio tutto sommato conservatore. Spregelburd invece ci ha fatto vedere come, muovendosi in assoluta libertà creativa ed espressiva e senza però prescindere da un pensiero organico, si possa fare un teatro colto e popolare, sofisticato e immediato, coloratissimo e minimalista. Il tutto con uno sguardo e un orizzonte internazionale. Naturalmente il merito di questa intuizione fu soprattutto di Manuela Cherubini, regista di “Bizarra” e sua traduttrice e collaboratrice (l’ultimo spettacolo, “Furia avicola”, è in co-regia) che si assunse il rischio di dirigere un progetto che era totalmente nuovo, non solo per quel che riguarda la messinscena.

Una considerazione

Renato Palazzi qualche anno fa, in occasione della messinscena di Luca Ronconi de “Il panico”, parlò di “ingegneria linguistica”, definizione quasi perfetta se solo non desse l’idea di una scrittura fredda, calcolata. In Spregelburd c’è evidentemente un calcolo, una misura precisissima e raffinata, un’interessante e innovativa ibridazione tra biologia, fisica, matematica, filosofia e letteratura; ma c’è tuttavia un’anima, uno spirito che affonda le radici nella cultura sudamericana, nel teatro sudamericano, grottesco, surreale… È quindi più propriamente un’ingegneria sì, ma della fantasia, laddove nella sua poetica confluiscono tradizioni e scuole molto diverse: dal realismo al simbolismo, dal comico al tragico, dalla psicoanalisi alla comunicazione di massa. Spregelburd offre una sintesi, dirompente e stimolante, un attraversamento libero da qualsiasi condizionamento, soprattutto culturale, a cui non si può non riconoscere un ruolo centrale nel panorama contemporaneo.

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