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“Cellulare peggio di Hiroshima per rischio tumori”, le motivazioni della sentenza di Ivrea

Le motivazioni della storica sentenza del giudice del lavoro di Ivrea che ha riconosciuto un nesso tra l’uso scorretto del cellulare e lo sviluppo di un tumore al cervello in un dipendente Telecom.
A cura di Antonio Palma
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L'uso massiccio del cellulare per quanto riguarda il rischio dell'insorgere di tumori è peggio delle bomba atomica sganciata su Hiroshima durante la Seconda guerra mondiale. È uno dei passaggi chiave della storica sentenza del tribunale del lavoro di Ivrea che ha riconosciuto un nesso tra l'uso scorretto del cellulare e lo sviluppo di un tumore al cervello in un dipendente Telecom. "Il rischio oncologico per i sopravvissuti alle esplosioni atomiche di Hiroshima e Nagasaki è stato individuato nella misura di 1,39 per tutti i tumori, mentre il rischio individuale per un uso così massiccio e prolungato nel tempo di telefoni cellulari è pari ad una misura di 1,44" ha scritto infatti nelle motivazioni della sentenza il giudice Luca Fadda, che nei giorni scorsi ha condannato l'Inail a risarcire il lavoratore.

Roberto Romeo si era ammalato di un tumore benigno al cervello dopo aver usato il cellulare per lavoro, in maniera costante per diverse ore al giorno per 15 anni. Nel caso specifico del lavoratore che aveva richiesto l'indennizzo, per il giudice di Ivrea "vi è l'associazione tra un tumore raro e un'esposizione altrettanto rara come l'utilizzo dal 1995 di telefonia cellulare ad elevate emissioni: se ne può inferire che la rarità della doppia circostanza depone per una associazione causale. Senza contare che l'uomo è destrimane e la patologia è insorta nella parte destra".

Il dipendente che aveva scoperto di essere affetto da neurinoma dell'acustico destro nel 2011, infatti, aveva "utilizzato in maniera abnorme telefoni cellulari nel periodo 1995-2010", visto che "coordinava l'attività di 15-20 persone" e con ognuno si sentiva "2-3 volte al giorno, a volte anche di più" e le chiamate "non erano brevissime, della durata di circa 5-10 minuti", ha sottolineato il giudice. Inoltre "nessuno strumento all’epoca era stato fornito al lavoratore per attenuare la sua esposizione alle radiofrequenze (tipo “cuffiette”) ed il tutto era aggravato dall’uso frequente di questi primi telefoni cellulari (per circa 5 anni, dal 1995 al 2000, con tecnologia Etacs) all’interno dell’abitacolo di una autovettura", ha concluso il giudice.

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