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Caporalato Puglia, l’appello della bracciante: “Pagami, devo mandare figli a scuola”

Il disperato appello di una madre di famiglia senza altre fonti di reddito agli atti dell’inchiesta sul caporalato in Puglia avviata dopo la morte nei campi di Paola Clemente e che giovedì ha portato all’arresto di sei persone.
A cura di Antonio Palma
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"Per favore te lo chiedo, pagami devo mandare i bambini a scuola", è il disperato appello che una bracciante agricola pugliese aveva rivolto a uno dei presunti caporali che gestiva la manodopera nei campi della Puglia arrestato giovedì su disposizione della magistratura di Trani nell'ambito delle indagini sul caporalato in zona scattate a seguito della morte nei campi di Paola Clemente, avvenuta ad Andria nel luglio del 2015. La frase, contenuta in uno sms inviato a uno degli indagati, secondo gli inquirenti dà uno spaccato di quanto avveniva  nel mondo delle braccianti agricole nei campi del nord barese: sfruttate, sottopagate e spesso  costrette anche ad attendere giorni per una misera paga che si erano guadagnate con ore nei campi sotto al sole.

"Già lavoro non ce n'é, poi dobbiamo anche aspettare", si lamentava la donna che come tante altre braccianti contava su quel lavoro come unico sostentamento per la famiglia. Secondo le indagini, infatti, era proprio lo stato di miseria e bisogno a costringere tutte le donne coinvolte ad accettare di lavorare a meno di 30 euro al giorno, per ore sotto tendoni con una temperatura anche superiore ai 40 gradi. Come ricostruito dagli inquirenti molte erano mogli di operai cassintegrati dell'Ilva di Taranto che cercavano di raggranellare qualche soldo in più dopo la perdita del lavoro da parte dei mariti.

Una situazione che, secondo la Procura  di Trani, aveva dato vita ad un "contesto di omertà" che "portava le stesse braccianti a santificare i loro carnefici, al punto di ringraziarli del lavoro ottenuto". I caporali infatti erano visti come benefattori che davano lavoro in un contesto dove lavoro non c'è. Per questo nei primi interrogatori nell'inchiesta su Paola Clemente molte delle braccianti rispondevano "non ricordo" e "non so".  "Dalle mie parti non c'e' lavoro e trovare una persona che permette di poter lavorare in queste condizioni è fortuna" spiegava qualcuna. infine le prime ammissioni: "Ci dicevano che se ci andava bene era così, altrimenti eravamo libere di andarcene. Molte persone vanno a lavorare anche perdendo soldi e giornate perché non c'è altro di meglio e hanno bisogno anche di trenta euro. Se dici che non vuoi andare a lavorare la domenica, lui dice statti a casa, al posto tuo ci vanno altri. C'è tanta gente che muore di fame e prende il tuo posto".

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