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Calabria, aborti senza consenso, decessi ed errori: a processo 13 medici

Inizierà il 29 novembre il processo per i 13 indagati dell’inchiesta “Mala Sanitas”, avviata dalla Procura di Reggio Calabria, contro una presunta rete di copertura di errori sanitari, perpetrati nel reparto di Ostetricia e Ginecologia degli Ospedali Riuniti di Reggio.
A cura di Susanna Picone
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Tredici medici degli Ospedali Riuniti di Reggio Calabria sono stati rinviati a giudizio. È quanto ha deciso il gup accogliendo la richiesta dei pm Roberto di Palma e Anna Maria Frustaci. Si tratta dei medici coinvolti nell'inchiesta dello scorso aprile “Mala Sanitas”, coordinata dalla Procura e condotta dal Gico della Guardia di Finanza. Al termine delle indagini erano stati arrestati quattro medici accusati di falso ideologico e materiale, di soppressione, distruzione e occultamento di atti veri nonché di interruzione della gravidanza senza consenso della donna. Altri medici, tra ginecologi, anestesisti e ostetriche, erano stati interdetti. I tredici medici che vanno ora a processo devono rispondere di accuse pesantissime come, tre le altre cose, di avere manipolato o falsificato cartelle cliniche per coprire responsabilità derivanti da errori medici commessi nei reparti di Ostetricia e ginecologia, di Neonatologia e di Anestesia.

Il processo al via a novembre – Il prossimo 29 novembre dovranno quindi comparire in tribunale l'ex primario, l'allora primario facente funzioni e l'aiuto di ginecologia Pasquale Vadalà, di 68 anni, Alessandro Tripodi, 47 anni, e Filippo Saccà, di 62 anni; i ginecologi Daniela Manuzio, di 50 anni, Antonella Musella, 58 anni, Roberto Pennisi, 63 anni, Massimo Sorace, 44 anni, Mario Gallucci, di 64 anni, e Marcello Tripodi, 54 anni; l'ostetrica Giuseppina Strati; la neonatologa Maria Concetta Maio; l'anestesista Luigi Grasso, di 64 anni, e l'ex primario Annibale Maria Musitano, di 69 anni.

Il sistema “per salvarsi il culo” – Nell’ordinanza di custodia cautelare il gip parla di “bollettino di guerra” da cui emerge il sistema adottato dai medici per “salvarsi il culo”. “Dall’inchiesta emergerebbe, secondo gli inquirenti, “l’esistenza di una serie di gravi negligenze professionali e di assoluta freddezza e indifferenza verso il bene della vita che di contro dovrebbero essere sempre abiurate dalla nobile e primaria funzione medica chiamata a salvare gli altri e non se stessi”.

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