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Opinioni

C’è un filo rosso che unisce le manovre attorno a Rcs e Unicredit

Sia la vicenda Rcs sia quella che coinvolge Unicredit ruotano attorno al ruolo che Alberto Nagel sembra voler ritagliare per sè e per Mediobanca. Ma lo scontro resta apertissimo sia in Via Solferino sia nell’istituto da cui Federico Ghizzoni potrebbe dimettersi a brevissimo…
A cura di Luca Spoldi
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C’è un filo rosso che unisce le operazioni che si sono imbastite o si vorrebbero imbastire attorno a due dei più noti gruppi italiani, Rcs Mediagroup e Unicredit? Secondo molti la risposta e affermativa e risponde al nome di Mediobanca e del suo numero uno, Alberto Nagel. Per le 16 di domani, il 23 maggio, è stato convocato un Cda straordinario di Unicredit sulla governance che oltre a parlare del possibile successore di Federico Ghizzoni, che avrebbe di fatto già trovato un accordo sulla propria buonuscita milionaria, potrebbe valutare anche le dimissioni del presidente Giuseppe Vita, chieste da quella parte dei soci che vuole trovare il modo di evitare un altro aumento di capitale che al momento sembrerebbe quasi inevitabile per riuscire a rafforzare coefficienti patrimoniali pericolosamente vicini alle soglie minime richieste dalla Bce.

Gli analisti non sembrano dar conto delle voci di stampa che circolano da giorni e ipotizzano una ripresa del piano di integrazione tra Mediobanca e Unicredit (che di Piazzetta Cuccia è il maggiore azionista con l’8,7% del capitale) avanzato tra il 2008 e il 2009 senza peraltro vedere mai la luce proprio da Unicredit, con uno scenario completamente diverso non solo a livello di mercati, ma anche di azionariato (in Unicredit il primo socio era la Fondazione Cariverona col 5%, e proprio l’ente guidato da Paolo Biasi aveva costituito una partecipazione di poco superiore al 3% anche in Mediobanca) e di management (Alessandro “il  grande” Profumo era ancora saldo in sella in Unicredit, Cesare Geronzi dopo aver traghettato in Unicredit il gruppo Capitalia era stato nominato presidente di Mediobanca, finendo col trovarsi ripetutamente su fronti opposti rispetto ai manager Renato Pagliaro e Alberto Nagel).

Anche la stampa estera, dal Financial Times, che fa notare come nessun altro esponente del top management potrebbe avere le qualità per succedere a Ghizzoni, al Wall Street Journal, che parla di un successore che dovrà venire dall’esterno con la credibilità adeguata per “recuperare miliardi di capitale fresco”, sembra essere convinta che la vicenda finirà con un ricambio di buona parte del top management a causa di troppe promesse fatte nel Piano Industriale non mantenute e che dopo questo rimescolamento ai vertici ci sarà un aumento di capitale. Questa ipotesi, come già detto, non piace ai grandi soci attuali, in particolare alle fondazioni bancarie che rischierebbero di vedersi ridotte a un peso insignificante e dovrebbero pertanto ceder poltrone e poteri nel Cda.

Per evitare l’aumento l’alternativa potrebbe essere una serie di cessioni: dopo le ipotesi di un collocamento di quote delle controllate FinecoBank, Pekao e Yapi Kredi, ma potrebbe essere valutata anche la cessione delle attività di gestione dei pagamenti. Nel complesso queste e ulteriori cessioni di asset non strategici potrebbero alzare, secondo gli analisti di Icbi, di circa il 2,5% il Cet1, allontanando il rischio di un aumento che in alternativa, sempre secondo Icbpi, se fosse di 4 miliardi alzerebbe dal 10,85% di fine marzo all’11,5% il Cet1, mentre se si volesse salire al 12,5%-13% dovrebbe essere tra gli 8 e i 10 miliardi. Il matrimonio con Mediobanca, che in borsa capitalizza 5,8 miliardi circa, consentirebbe per contro di minimizzare le richieste al mercato di mezzi freschi e/o le cessioni di “gioielli della corona”, che potrebbero minare la redditività futura del gruppo e in ogni caso non è detto siano realizzabili tutte in tempi brevi se non sacrificando il prezzo di vendita e quindi deprimendone i titoli quotati a Milano, Varsavia e Instanbul.

Ma soprattutto l’operazione consentirebbe ad Alberto Nagel di farsi incoronare nuovo numero uno del gruppo integrato. Peccato che sia i soci esteri (il fondo sovrano di Abu Dhabi, Aabar, in testa) sia la Banca d’Italia non siano tra gli sponsor dell’operazione che sembra il classico gioco di potere consumato “a prescindere” dalla solidità industriale del progetto. In altre parole, come osservano alcuni operatori, due debolezze non farebbero una forza. In compenso il matrimonio Unicredit-Mediobanca potrebbe consentire di chiudere la porta in faccia a Urbano Cairo e a Intesa Sanpaolo in Rcs, mantenendone il controllo grazie all’aiuto dell’Investindustrial di Andrea Bonomi, la cui offerta è stata giudicata la scorsa settimana migliore di quella dell’editore torinese in quanto “a premio” (e quindi più vantaggiosa) rispetto alle quotazioni a 3, 6 e 12 mesi del titolo in borsa, mentre quella di Cairo era stata giudicata “a sconto” sulle quotazioni stesse.

In sostanza: se Alberto Nagel riuscirà a convincere i soci di Unicredit che un matrimonio con Piazzetta Cuccia e la sua nomina a nuovo condottiero del gruppo potrà evitare ulteriori onerosi aumenti di capitale, anche Rcs Mediagroup potrebbe rimanere in mano all’attuale gruppo di controllo senza neppure la necessità di dover mettere mano alla sacca in modo eccessivo (visto che a comprare sarebbero gli stessi soci che già hanno in portafoglio i titoli a valori multipli delle attuali quotazioni e che a sobbarcarsi parte del peso sarebbe Bonomi). Una soluzione che potrebbe avere un “via libera” politico da Palazzo Chigi, che sembra non gradire il passaggio i Rcs Mediagroup sotto l’influenza di Urbano Cairo, ritenuto poco sensibile alla politica e unicamente interessato (come ogni imprenditore dovrebbe essere) al profitto ricavabile dalle attività in cui investe.

Chi vincerà, l’asse fondazioni-governo-Nagel o l’asse fondi esteri-Intesa Sanpaolo-mercato?  Le due partite, su Unicredit e Rcs, paiono ancora apertissime per quanto intrecciate, col numero uno di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina, che sembra aver già messo in moto le macchine per trovare ulteriori soggetti (fondi di private equity) in grado di rilanciare sul fronte Rcs, evitando al tempo stesso di favorire il rafforzamento, per quanto parziale, di un concorrente sul mercato del credito in Italia.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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