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Brexit, ci siamo: Theresa May invocherà l’articolo 50

Il 29 marzo 2017 Theresa May, premier britannico, chiederà l’attivazione dell’articolo 50 del Trattato di Lisbona. E’ il via a due anni di trattative che sanciranno l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea. Un’uscita che non sarà indolore per Londra…
A cura di Luca Spoldi
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Dicono che il tempo scorra veloce quando ci si diverte e deve essere così, visto che siamo a fine marzo, la borsa di Milano è risalita su livelli che non si vedevano dal gennaio dello scorso anno, il rendimento del Btp decennale è sul 2,17% come a fine gennaio scorso e lo spread contro Bund è indicato all’1,779%, anche in questo caso come a fine gennaio.

Nel frattempo però Trump ha subito la sua prima sconfitta parlamentare, ma si prepara a tornare nuovamente alla carica smantellando il piano voluto da Barack Obama per ridurre le emissioni inquinanti, e Theresa May è pronta a chiedere formalmente, domani, l’avvio dei due anni di trattative al termine dei quali la Gran Bretagna non farà più parte dell’Unione europea.

E’ uno dei momenti più importanti nelle recente storia del Regno Unito” ha sottolineato il premier britannico, parlando della richiesta formale che avanzerà domani sull’attivazione dell’articolo 50 del Trattato di Lisbona che darà il via al processo che renderà la Brexit, votata dalla maggior parte dei partecipanti al referendum britannico dello scorso giugno, effettiva.

Il primo ministro ha ribadito che la finalità di questa uscita è creare una “relazione profonda e speciale” con l’Europa, ma le premesse non sembrano delle migliori, non solo perché la Gran Bretagna ha storicamente cercato di boicottare in tutti i modi ogni forma di cessione di sovranità che invece il progetto dell’Unione europea prevede come traguardo, ma anche perché i leader politici europei sembrano intenzionati a fare pagare cara alla Gran Bretagna l’uscita dall’Unione sia in termini monetari (si parla di 50 miliardi di sterline, ossia 58 miliardi di euro) sia politici.

Per la Gran Bretagna sarà molto costoso lasciare l’Unione europea”, ha ricordato il capogruppo del Ppe al Parlamento europeo, il tedesco Manfred Weber, ribadendo che durante il periodo dei negoziati e quello transitorio Londra “dovrà rispettare tutti gli obblighi in corso e la legislazione in corso, se no sarebbe un comportamento irrispettoso che creerebbe problemi ai negoziati”.

In compenso i rappresentanti europei che prenderanno parte alle trattative avranno in mente “solo l’interesse dei 440 milioni di cittadini europei e non più quello dei cittadini britannici”, che per Weber scopriranno, loro malgrado, come uscire da un’unione “significa costruire di nuovo muri e barriere” e sia quindi destinato a creare “problemi con limitazioni della loro libertà nella vita quotidiana”.

In sintonia con Weber anche il numero uno di Lufthansa, Carsten Spohr, ha detto di attendersi che Francia e Germania adottino una “linea dura” contro l’industria aeronautica britannica durante i negoziati e che questo potrebbe danneggiare i collegamenti aerei paneuropei. Gli accordi nel settore delle linee aeree sono attualmente regolati dal trattato Single European Sky ed è “virtualmente impossibile” secondo Spohr che il governo inglese riesca a raggiungere un accordo complessivo in grado di sostituirlo.

Lo stesso ragionamento vale naturalmente per tutti gli altri settori di attività economiche, nei quali le aziende britanniche con la perdita della “patente europea” si ritroveranno fuori dal mercato unico e nella necessità di rinegoziare, sempre con Bruxelles, i modi e i tempi del loro rientro. Tutto questo genererà ulteriori costi anche solo in termini regolamentari, come ha già fatto sapere la stessa Banca d’Inghilterra avvisando di prevedere un aggravio di 5,4 milioni di sterline delle commissioni che le banche britanniche debbono versare all’istituto centrale.

Per ora Theresa May, che pure durante la campagna referendaria si era schierata a favore della permanenza nella Ue, non mostra alcuna insicurezza e ripete che è necessario “cogliere questa storica opportunità per emergere nel mondo e plasmare un sempre maggiore ruolo per una Gran Bretagna globale”, facendo l’occhiolino ad investitori internazionali come il Qatar (il cui fondo sovrano, Qatar Holding, è socio al 5% di una delle maggiori banche inglesi, Barclays), che in questi due giorni ha mandato una delegazione di 400 tra funzionari e uomini d’affari a far visita a loro controparti a Londra e Birmingham alla ricerca di qualche nuovo buon affare.

Questo si traduce non solo nel costruire nuove alleanze, ma nell’ampliare i rapporti coi vecchi amici che sono al nostro fianco da secoli” ha concluso il premier, in questo caso strizzando l’occhio agli Stati Uniti di Donald Trump oltre che a Canada e altri membri del Commonwealth come Sud Africa o Australia, con cui in molti scommettono la Gran Bretagna tornerà a sviluppare relazioni privilegiate in concorrenza con la stessa Ue.

Sullo sfondo Nicole Sturgeon, la premier scozzese, è pronta a lanciare un nuovo referendum indipendentista, allo scopo di garantire (in caso di vittoria del partito pro-indipendenza) una permanenza della Scozia nella Ue, anche a costo di disunire per sempre il Regno Unito. Viviamo in tempi interessanti, questo è certo, anche se non necessariamente gli esiti dei processi in corso saranno tutti positivi e piacevoli per i partecipanti agli stessi.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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