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Boeri: “Riforma delle pensioni aumenterà il debito di 44 mld. A pagare saranno i giovani”

Il presidente dell’Inps Tito Boeri, in un’intervista concessa al Corriere della Sera, esprime la sua opinione riguardo le misure previdenziali inserite dall’Esecutivo Renzi in Legge di Bilancio, sottolineando che la riforma proposta dall’Inps qualche mese fa, quella relativa alla flessibilità in uscita, sarebbe costata meno in termini di futuro debito pensionistico.
A cura di Charlotte Matteini
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"La politica cerca risultati immediati, io segnalo problemi che si possono manifestare nel corso del tempo". Così, il presidente dell'Inps Tito Boeri, in una lunga intervista concessa al Corriere della Sera, esprime il suo punto di vista riguardo la situazione dell'ente previdenziale da lui presieduto e la mini riforma delle pensioni attuata dall'attuale Governo Renzi. "Questa legge di bilancio fa diverse operazioni sulle pensioni. Innanzitutto elimina le ricongiunzioni onerose fra diverse gestioni Inps. Questa è una misura molto importante perché rimuove una stridente iniquità del sistema che da tempo avevamo sottolineato. Inoltre stimola la crescita perché consente una più efficiente allocazione del lavoro evitando di penalizzare i lavoratori che cambiano lavoro alla ricerca di carriere più corrispondenti alle proprie capacità", spiega il presidente Boeri.

"Sicuramente un fatto positivo. La seconda importante operazione di questa legge di bilancio è quella della flessibilità in uscita. Anche questa è una operazione che noi abbiamo sostenuto. Bene dare libertà di scelta, ma stando attenti a non aumentare il fardello che grava sulle generazioni future", prosegue Boeri, sottolineando però che le misure inserite in legge di bilancio dall'Esecutivo Renzi aumenterebbero il debito pensionistico di circa 20 miliardi di euro, senza contare i costi generati dall'innalzamento della no-tax area per i pensionati e i crediti di imposta per chi chiede l’Ape di mercato, che genererebbero aumenti di spesa ancora più alti. Per esempio, l'Ape social, ovvero l'anticipo pensionistico a carico dello Stato per determinate categorie di lavoratori "svantaggiati" sarebbe in vigore in via sperimentale per due anni ma, rileva Boeri, "dopo il 2018 non sarà così facile interrompere l’Ape Social. Questa misura non comporta riduzioni della pensione per chi si ritira prima. Sarà anzi forte la pressione ad allargare la platea". Inoltre, non sono state chiuse numerose questioni essenziali, come ad esempio "l’indicizzazione delle pensioni, che secondo quest’accordo dev’essere rivista; c’è la definizione di lavori gravosi. E’ importante definire un insieme di parametri oggettivi. Altrimenti sarà molto difficile delimitare le platee. Poi ci sono le salvaguardie. Adesso ci sarà l’ottava. Si dice che sarà l’ultima, ma anche la settima (e prima ancora la sesta) doveva essere l’ultima", sottolinea Boeri.

"La mia preoccupazione è che il debito pensionistico possa essere ulteriormente gonfiato da quanto avverrà nella fase due del confronto. Ad esempio, se solo l’Ape Social venisse rinnovata e resa strutturale dopo il 2018, noi calcoliamo che ci sarebbero altri 24 miliardi di debito pensionistico. Dunque in totale un po’ più di due punti e mezzo di debito pensionistico in più, attorno ai 44 miliardi. Per questo, a mio giudizio, è fondamentale che sin d’ora si lavori molto seriamente su due terreni. Primo: quello dei lavori gravosi. Noi siamo disponibili a fare un lavoro di approfondimento per guardare alle differenze nella longevità in base al tipo di lavori svolti. Il sistema contributivo attualmente prevede che i coefficienti di trasformazione siano uguali per tutti. E’ giusto riconoscere che alcuni lavori gravosi comportino rischi di infortuni per se stessi e per le persone con cui si lavora in tarda età – una questione che l’Inail può valutare – e possano avere effetti sulla speranza di vita. Le nostre analisi possono aiutare il governo nel prendere decisioni su come adeguare i coefficienti di trasformazione per queste categorie. Così facendo ci sarebbe un criterio obiettivo per dare a questi lavoratori un trattamento diverso da quello che viene riservato ad altri lavoratori".

Un altro tema che sta molto a cuore al presidente dell'Inps è la non-autosufficienza che, secondo il suo parere, andrebbe affrontata non pesando sulle casse dell'ente previdenziale, separando dunque gli interventi pensionistici da quelli di pura assistenza. "Penso che i pensionati in futuro dovrebbero essere chiamati a contribuire alle spese a sostegno delle persone non autosufficienti e delle loro famiglie. In altri Paesi, come la Germania, sono sia i lavoratori che i pensionati a versare un contributo, anche perché il rischio di non autosufficienza aumenta con l’età. Ci sono poi varie misure, non previdenziali, che possono essere introdotte per aiutare le persone in questa condizione, come ad esempio trasferimenti ben più consistenti delle attuali indennità di accompagnamento per chi ha redditi bassi, servizi reali da fornire a livello locale, possibilmente a domicilio. Anche su questo serve un approfondimento serio e anche su questo l’Inps è disponibile a lavorare. Mischiando previdenza e politiche per la non autosufficienza si finisce per usare un unico strumento per affrontare esigenze molto diverse".

Riguardo le critiche del Ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan relative alla riforma previdenziale proposta da Boeri, la quale secondo il titolare del Dicastero di via XX settembre sarebbe stata troppo onerosa per le casse dello Stato, il presidente dell'Inps spiega che al contrario quella riforma avrebbe ridotto il debito pensionistico "per due motivi, primo applicavano i coefficienti di trasformazione, che danno sostenibilità al nostro sistema, e ogni flessibilità che veniva concessa era pienamente all’interno di quei parametri. In più la proposta Inps prevedeva un’operazione di riduzione parziale delle pensioni in essere. Facendo queste operazioni il debito pensionistico scendeva di circa 4punti di pil, una riduzione importante".

"Penso sia importante anche fare una campagna d’informazione rispetto al lavoro autonomo, perché ci sarà una riduzione delle aliquote dal 27% al 25% per i liberi professionisti che non hanno ordine professionale di riferimento. Le loro rappresentanze sostengono questa battaglia, scelta più che legittima, ma non sempre spiegano agli iscritti che avere oggi aliquote più basse significa un domani pensioni più basse", prosegue Boeri

Opinione negativa anche sull'operazione di rottamazione delle cartelle esattoriali riguardati i debiti contributivi. Secondo Boeri questo tipo di approccio potrebbe minare i risultati raggiunti con le campagne per il contrasto del'evasione contributiva e dare un segnale di lassismo. "La preoccupazione che noi abbiamo è che questo possa avere degli effetti sulla raccolta contributiva. Sempre, quando si fanno operazioni di questo tipo c’è un rischio di dare un segnale di lassismo. Soprattutto, si rischia di indebolire una campagna che abbiamo fatto per contrastare l’evasione contributiva. Se in qualche modo si ha la percezione che si possono ritardare o dilazionare i pagamenti e poi non pagare sanzioni, il rischio è che si indebolisca questo processo", spiega il presidente dell'Inps, sottolineando che "studi di ricercatori INPS basati su dati di verbali ispettivi e bilanci ci dicono che le imprese che pagano le sanzioni successivamente tendono a dichiarare più lavoratori. La sanzione è veramente importante. Non solo la minaccia. Il pagamento della sanzione è essenziale perché ci sia effetto deterrente. E poi c’è l’effetto sulle riscossioni che sono crollate dopo che si è cominciato a parlare della rottamazione.

Capitolo Jobs Act, Boeri spiega che nel 2015 "abbiamo avuto un forte incremento del lavoro alle dipendenze e dei contratti a tempo indeterminato, aumentati di circa 800 mila. Poi nel 2016 il numero di questi contratti si è stabilizzato. Nell’ultimo mese abbiamo voluto rendere pubblici i dati sui licenziamenti. E ho visto tante letture affrettate. Opportuno, ad esempio, guardare alle probabilità di licenziamento, ovvero ai licenziati sul numero di lavoratori, che è calata dal 7% del 2014 al 6% del 2015 ed è rimasta su questi livelli nel 2016. Ho letto tante dichiarazioni allarmistiche sull’aumento dei licenziamenti disciplinari per giusta causa. Questi sono aumentati di 10mila unità nel 2016 rispetto al 2015. Vorrei ricordare che il numero totale di licenziamenti si aggira attorno ai 600.000 all’anno, dunque 10.000 licenziamenti disciplinari in più sono un numero relativamente piccolo".

Sul referendum costituzionale Boeri non si sbilancia e non effettua alcuna dichiarazione di voto pubblica, solo sottolinea che il nuovo titolo V "potrebbe darci gli strumenti per far meglio le politiche sociali in Italia. In passato si è andati troppo nella direzione del decentramento mentre invece sarebbe necessario accentrare per attuare in modo efficace le misure assistenziali. Se vogliamo davvero introdurre un reddito minimo, c’è bisogno di uno schema che sia in gran parte finanziato dal centro, ma che veda una compartecipazione degli enti locali. Se manca il finanziamento dal centro, non è possibile arrivare ai cittadini più bisognosi che vivono nelle regioni più povere, perché mancano le risorse a livello locale. Se però si prevede unicamente un finanziamento centrale, lasciando agli enti locali solo un ruolo di erogatori, le amministrazioni locali non hanno gli incentivi giusti per utilizzare in modo oculato queste risorse. Secondo punto: ci sono differenze molto accentuate tra province nell’accesso alle indennità di accompagnamento, che non possono essere spiegate dalla struttura per età della popolazione oppure a partire da dati epidemiologici sulla diffusione di certe malattie.

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