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La guerra del cognome: “Basta con quello del papà”. Arriva la decisione della Consulta

Martedì 8 novembre la Corte Costituzionale sarà chiamata ad esprimersi sul ricorso di una coppia italo-brasiliana residente a Genova che ha chiesto il doppio cognome per il figlio. Rosa Oliva: “Bisogna dichiarare incostituzionale questa discriminazione”.
A cura di Ida Artiaco
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Martedì 8 novembre potrebbe essere una giornata storica per l'Italia. La Consulta dovrà infatti tornare ad esprimersi sulla cosiddetta "battaglia del cognome materno", con una sentenza che potrebbe definire incostituzionale l'attuale prassi della nostra legge, per cui ad ogni bambino nato viene dato il nome del padre, qualunque sia la volontà dei genitori. La discussione va avanti da 40 anni: nel mezzo, una legge in materia approvata dalla Camera nel 2014 ma che giace nei cassetti del Senato, e una sentenza contro il nostro Paese da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo.

La Corte Costituzionale già si era espressa nel 2006 definendo il sistema attuale "retaggio di una concezione patriarcale della famiglia e di una tramontata potestà maritale, non più coerente con il valore costituzionale dell'uguaglianza uomo donna", ma aveva poi lasciato al Parlamento l'ultima parola per superare l'annosa questione. Ora la palla ritorna proprio nelle mani della Consulta, che nei prossimi giorni dovrà esprimersi su un caso che potrebbe diventare rivoluzionario per tutte le coppie in attesa di vedere accolte le proprie richieste.

Il caso in questione è il ricorso di una coppia italo-brasiliana residente a Genova, che aveva chiesto di poter registrare all'anagrafe il proprio figlio col doppio cognome. Anche perché in Brasile il bimbo risulta già identificato col cognome sia paterno che materno. La richiesta dei genitori era stata respinta, in quanto in Italia ai figli nati nel matrimonio va attribuito soltanto il cognome del padre. Ed ora si aspetta il parare della Corte: potrà essere dichiarata incostituzionale questa prassi?

"La Consulta deve dichiarare incostituzionale la discriminazione della madre nell'attribuzione del cognome – ha dichiarato al quotidiano La Repubblica Rosa Oliva, componente dell'associazione "Rete per la parità" e primo prefetto donna in Italia -. È un fatto di enorme portata simbolica ed educativa. Come possiamo insegnare ai giovani la parità, il rispetto dei generi, se comunque lo Stato alla nascita li identifica soltanto con il nome del padre? E l'Italia è rimasta tra gli ultimi paesi in Europa a difendere questo baluardo di maschilismo".

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