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Opinioni

Banche italiane, si avvicina una rivoluzione dolorosa?

La notizia che Lloyds Banking Group si prepara a tagliare 9 mila dipendenti per l’uso sempre più frequente dei servizi internet anziché delle filiali, potrebbe essere un segnale dal futuro per le banche italiane. Che prima o poi dovranno affrontare la riorganizzazione del loro modello di business, con ricadute occupazionali inevitabili…
A cura di Luca Spoldi
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La notizia che Banking Group si prepara al taglio di circa 9 mila posti di lavoro, pari al 10,2% rispetto al totale di 88 mila dipendenti che il gruppo ha complessivamente, potrebbe passare sotto silenzio sui media italiani, ma forse è meglio approfondire. Secondo il gruppo britannico, a cui fanno capo i marchi Halifax, Tsb, Lloyds Bank e Bank of Scotland (mentre Hbos, la cui acquisizione da parte di Lloyds Tsb nel 2009 diede vita all’attuale gruppo, ha cessato di essere utilizzato), la nuova riduzione di organici, che segue precedenti tagli per 37 mila posti dal 2008 ad oggi, è necessaria per recuperare margini ed efficienza. Fin qui nulla di particolarmente diverso dalle storie che sentite ogni giorno in ogni angolo del pianeta: il banchiere avido che vuole guadagnare di più sulle spalle dei poveri lavoratori fa molto “Cantico di Natale” e visto il periodo ci starebbe pure tutta, diciamocelo.

Il fatto è che l’amministratore delegato del gruppo, Antonio Horta-Osorio, sicuramente sta facendo di tutto per accelerare l’uscita definitiva del Tesoro di sua maestà dal capitale (dopo il salvataggio era arrivato a possedere il 43,4% del capitale debba banca, ora è sceso al 24,9%) per tornare ad essere una società a controllo privato. Ma quest’ultima mossa l’ha decisa, almeno secondo quanto afferma l’istituto, perché ci si è accorti, molto semplicemente, che le persone iniziano sempre più a usare i servizi di banking e sempre meno a fare la fila in filiale. Quindi servono meno filiali, che in ogni caso dovrebbero essere in parte chiuse o cedute per rispettare gli impegni presi con l’Antitrust europeo per ottenere il via libera agli aiuti di stato del 2008 quando il Tesoro britannico in tutto versò nelle casse disastrate delle maggiori banche britanniche tra cui Lloyds Bankin Group e Royal Bank of Scotland, 47 miliardi di euro.

In cambio degli aiuti ricevuti per Lloyds Banking Group in particolare fu previsto che fossero cedute 632 filiali e relativi dipendenti, che in un primo momento avrebbero dovuto essere rilevate da The Co-Operative Bank per 750 milioni di sterline. L’intesa, annunciata nel 2012, saltò alla fine di quello stesso anno a causa del difficile scenario macroeconomico e della più stringente regolamentazione del settore creditizio britannico e da allora tali attività sono state concentrate sotto il marchio Tsb, sbarcato in borsa. Altre attività vennero cedute nel corso degli anni: nel 2010 il 70% delle attività assicurative passò a Ensure Group per 185 milioni di sterline, nel 2013 Lloyds Bank International (divisione di private banking originariamente facente capo ad Halifax, fonte di costanti perite) venne girata allo spagnolo Banco Sabadell in cambio di una quota della banca stessa (l’1,8% per un valore di circa 84 milioni di euro), poi rivenduta sul mercato. Nel frattempo dallo scorso anno il Tesoro britannico ha iniziato a collocare gradualmente i suoi titoli sul mercato azionario, recuperando 7,4 miliardi di sterline.

Notare come così facendo da una parte Lloyds Banking Group ha cercato di salvaguardare e rafforzare il proprio “core business” (evitando di licenziare in massa personale, visto che in realtà una buona parte dei dipendenti “persi” sono semplicemente passati alle società acquirenti delle attività cedute), dall’altra il Tesoro inglese ha recupera una parte dei soldi investiti, anche se il saldo al momento è ancora ampiamente negativo (secondo dati Fmi il passivo supera tuttora i 200 miliardi di dollari, molto peggio del risultato ottenuto dal Tesoro Usa che, al contrario, ha già recuperato tutto quanto prestato guadagnandoci sopra 67 miliardi di dollari, o persino del risultato ottenuto dal Tesoro italiano, che vanta, grazie agli interessi pagati sui prestiti garantiti alle banche, un utile di 400-500 milioni di euro). La ristrutturazione a colpi di cessioni non aveva tuttavia affrontato il nodo della riorganizzazione delle attività “core”, ossia di come e con quanto personale continuare a fare il proprio mestiere: erogare credito.

Ora siamo arrivati al nocciolo della questione e la domanda che sorge spontanea è: quando anche le banche italiane, finora impegnate a pulire i propri bilanci dalle posizioni maggiormente a rischio, anche per poter superare gli stress test della Bce (che domenica mattina annuncerà i risultati dell’Asset quality review, sui quali in borsa in questi giorni circolano le voci più disparate, dal fallimento del test per 3 istituti italiani, tra i quali il nome più ricorrente è quello del Monte dei Paschi di Siena, alla promozione a pieni voti, alla “moral suasion” perché le banche tricolori si aprano a capitali stranieri ad esempio accettando un matrimonio italo-tedesco che potrebbe coinvolgere Intesa Sanpaolo e Commerzbank), inizieranno a lavorare sul proprio modello di business, cosa succederà?

O se volete: quando le banche inizieranno a rendersi conto che i servizi di ebanking, gli “sportelli leggeri” e l’utilizzo di personale retribuito su base largamente variabile (come già capita, ad esempio, ai promotori finanziari o agli agenti assicurativi) sono l’unica strada ancora percorribile, nel XXI secolo, per rafforzare i margini reddituali, non potendosi alzare all’infinito il costo per la clientela, quanti posti di lavoro “fissi” andranno perduti? E il governo, tutto preso a farsi bello promettendo fantomatici 800 mila “nuovi posti di lavoro” grazie agli “incentivi” della Legge di Stabilità che il parlamento deve approvare, cosa pensa e cosa potrà fare in concreto?

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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