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Articolo 18, ecco il modello tedesco che non piace alla Camusso

Dopo l’accordo tra i partiti e le aperture di Cisl e Uil sembra sempre più probabile una riforma del lavoro con un art.18 che si avvicini al modello tedesco, che però non convince del tutto la Cgil.
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A cura di Antonio Palma
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Dopo l'accordo tra i partiti e le aperture di Cisl e Uil sembra sempre più probabile una riforma del lavoro con un art.18 che si avvicini al modello tedesco che però, non convince del tutto la Cgil.

L'accordo tra i partiti che appoggiano il Governo è arrivato, e la tanto sofferta riforma del lavoro italiana è in dirittura di arrivo. Uno dei temi più sofferti e spesso usato come collante ideologico da una parte e dall'altra della barricata è l'art.18 dello statuto dei lavoratori. Un tema che è diventato centrale anche nel dibattito aperto nei tavoli di trattativa tra Governo e parti sociali sulla riforma del lavoro preparata dal Ministro Fornero. Anche alcuni sindacati come Cisl e Uil sono ormai favorevoli ad una modifica della norma antilicenziamenti prevista dal nostro ordinamento e la chiave di volta sembra essere il tanto annunciato modello tedesco.

Il Governo vuole ridurre la durata dei processi del lavoro – Per il momento l'Art.18 prevede l'impossibilità di licenziamento se non per giusta causa o giustificato motivo  ed è valido per le aziende sopra i quindici dipendenti. Spetta poi al giudice del lavoro decidere se vi sono queste condizioni e ordinare in caso contrario il reintegro del lavoratore e l'indennizzo per gli stipendi non percepiti nell'arco del procedimento giudiziario, che spesso in Italia si dilunga per anni. Il Governo con l'annunciato obiettivo di una riduzione della durata dei processi in materia e per "rafforzare l'efficacia in termini di certezza del diritto", vuole introdurre un sistema più snello che permetta alle aziende licenziamenti più semplici, fermo restando l'impossibilità di licenziare per motivi discriminatori.

Il modello tedesco sui licenziamenti – Fondamentale è l'introduzione del licenziamento disciplinare, contro cui la Cgil ha promesso battaglia, e che si rifà al modello tedesco dove è previsto comunque un giudizio del giudice che può a sua discrezione scegliere il reintegro o l'indennizzo del lavoratore fino a 18 mensilità e non entrambe le cose come attualmente avviene in Italia. Anche in Germani infatti vi è una sorta di art.18 chiamato Kundigungsschutz, letteralmente protezione contro i licenziamenti ingiustificati, che si applica alle imprese sopra i dieci dipendenti e prevede licenziamenti dei dipendenti per motivi comportamentali, ad esempio per chi non si presentano al lavoro o crea danni a cose e persone nell'azienda. Il lavoratore però può rivolgersi al giudice del lavoro che, valutate le due posizioni, velocemente decide se vi è realmente motivo di licenziamento e in caso contrario può optare per il reintegro o l'indennizzo.

Le aperture e i paletti dei sindacati –Un altro dei punti fondamentali presi a prestito dal modello tedesco è il licenziamento per motivi economici, chiesto insistentemente da Confindustria, che prevede in questo caso possibilità di licenziamento se l'azienda si trova in difficoltà economiche e per il lavoratore solo un indennizzo dopo una procedura sindacale con i rappresentanti dei lavoratori. In realtà lo stesso leader della Cisl Bonanni che si dice favorevole ad una revisione dell'Art.18, precisa al Governo che "il modello tedesco non può essere usato a piacimento, a spizzichi e bocconi'‘, ma che l'introduzione delle nuove norme debbano andare di pari passo con una lotta contro gli abusi delle imprese come ad esempio le finte partire Iva che nascondono lavoro subordinato. La più difficile da convincere resta comunque la Camusso che ha già fatto sapere di non gradire le proposte del Governo precisando che per la Cgil  "l'articolo 18 è una tutela generale che ha una funzione di deterrenza rispetto all'arbitrio sui licenziamenti".

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