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Opinioni

Art. 18, una discussione tra slogan e giochetti. Sulla pelle dei lavoratori

Il piano del Governo prevede la sostituzione delle “vecchie” tutele con un nuovo sistema di ammortizzatori sociali (e di “sicurezze per i lavoratori”): un progetto ambizioso, complesso e controverso. Portato avanti a colpi di slogan, battute e (pen)ultimatum, mentre servirebbe una discussione seria e rispettosa. Soprattutto dei lavoratori.
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Ci siamo, dunque: Renzi ha ufficializzato la volontà di cancellare di fatto l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, sostituendolo con un nuovo sistema di tutele che sarà presentato nel dettaglio nelle prossime settimane. Sostanzialmente scompare la differenza fra precari e contrattualizzati a tempo indeterminato (resta ovviamente da sciogliere il nodo dei "diritti acquisiti"), nel senso che viene completamente sovvertito il concetto di "stabilità" del posto di lavoro. Siamo, saremo, sempre precari. Con lo Stato che però ci assicura di "prendersi carico di noi" nel momento in cui il datore di lavoro deciderà di non aver più bisogno di noi. Se ne può discutere, se ne discute, se ne discuterà. E, in parte, abbiamo cercato di farlo anche noi, chiarendo una volta per tutte cosa è l'articolo 18, quali sono i limiti della riforma Fornero, quali sono le questioni aperte, quale è la base di lavoro (il decreto Poletti, la prima gamba del Jobs act), quale è la (bozza) di proposta e via discorrendo.

Quello che non ha senso è invece continuare a ripetere frasi vuote, che non significano nulla. Quello che non ha senso è trattare la questione come fossimo in campagna elettorale. Quello che non ha senso è mentire sulle cifre, manipolare i concetti, assillarci con la propaganda, trasformare il dibattito in scontro fra civiltà, o peggio, generazioni. Ed è quello che Renzi e i suoi fedelissimi stanno facendo, inutile girarci intorno, consapevoli di dover vincere la battaglia prima dal punto di vista comunicativo, poi da quello parlamentare. Ed è quello che anche i sindacati stanno facendo, per ragioni opposte. Ed è quello che stanno facendo forze politiche in cerca di un minimo di visibilità o di un "qualcosa" che le ricompatti. Così ci bombardano di frasi ad effetto, slogan e annunci di svolte epocali. Il problema è che in larghissima misura si tratta di frasi e concetti che, o di senso non ne hanno proprio, oppure non c'entrano nulla con la discussione in corso. Volete qualche esempio?

"L'articolo 18 è una battaglia ideologica della sinistra"; "I poteri forti vogliono eliminarmi perché sono il Presidente del Consiglio del Paese più bello del mondo" (lo ha detto sul serio eh); "Le aziende all'estero sono terrorizzate dalla discrezionalità dei giudici nei reintegri"; "L'articolo 18 riguarda duemila persone…e tutti gli altri?"; "I sindacati sono l'unica azienda sopra i 15 dipendenti che non ha l'articolo 18". Queste sono solo alcune delle perle sciorinate da Renzi durante l'intervista rilasciata a Che Tempo Che Fa, con la quale ha in qualche modo anticipato il tema della discussione (si fa per dire) nella direzione nazionale del Partito Democratico.

Ecco, il problema è che a pronunciare roba del genere è il Presidente del Consiglio, tradendo la debolezza sostanziale del suo progetto. E non ci sono dubbi sul fatto che Renzi lo sappia. Renzi sa benissimo che l'articolo 18 non riguarda duemila persone. Renzi sa benissimo che quella della discrezionalità dei giudici è una sciocchezza (lo spiega bene Civati qui). Renzi sa benissimo che l'articolo 18 non è il problema principale per le aziende che vogliono investire (per inciso, io non ho mai conosciuto un imprenditore che decide di investire sapendo di fallire…). Renzi sa benissimo che non è l'articolo 18 a spaventare gli imprenditori (e poi lo aveva detto solo qualche anno prima, no?). Renzi sa benissimo che quella sui poteri forti è una discussione che non ha senso né valore. Renzi sa benissimo che le due cose, la tutela dei precari e la cancellazione dei diritti acquisiti, stanno insieme solo in un ragionamento complessivo ed articolato (anche in una diversa idea di rappresentanza eccetera) e non possono essere ridotte ad uno scontro "sociale" o, peggio ancora, generazionale.

Ed è un peccato che il Presidente del Consiglio, nonché segretario del primo partito italiano, affronti la questione come se si trattasse di una questione personale, di un duello muscolare, di una occasione per dimostrare di "avere gli attributi". Perché si tratta della questione centrale, in un Paese col 12% di disoccupazione. Perché la situazione attuale è insostenibile, con milioni di precari a zero tutele e zero garanzie. Perché il decreto Poletti fa schifo, ora lo può dire anche Renzi. Perché la riforma Fornero non ci ha detto nulla di chiaro, anche e soprattutto sull'articolo 18. Perché il vecchio modello di rappresentanza semplicemente non funziona più. Perché il fatto che un precario non abbia una sola ragione al mondo per iscriversi al Sindacato è un problema anche per il Governo.

Perché abbiamo bisogno di una discussione seria. Gli slogan, le frecciate, le battute, gli ultimatum, i regolamenti di conti lasciamoli così, senza rimpianti.

Aggiornamento – La relazione di Renzi alla direzione del Pd ha sostanzialmente confermato quanto si scriveva prima. Renzi ha aperto alla concertazione con i Sindacati e ha inserito anche la conferma della tutela per i licenziamenti disciplinari (chiarendo che ci sono 1,5 miliardi per i nuovi ammortizzatori sociali), ma non è entrato nel merito: nessun dato, nessuna tempistica, nessuna base di lavoro e / o mediazione, nessuna cifra e via discorrendo. Insomma, un tema complesso affrontato solo dal punto di vista ideologico. Appunto.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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