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Antonin Artaud, in libreria gli “Scritti di Rodez”: lettere dal manicomio, tra genio e follia

Gli “Scritti di Rodez” rappresentano un passaggio fondamentale per comprendere l’arte e la vita di Antonin Artaud: Adelphi li ha pubblicati in una nuova edizione, ricca di note e commenti critici.
A cura di Federica D'Alfonso
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Antonin Artaud
Antonin Artaud

L'editore Adelphi ha da poco pubblicato, a cura di Rolando Damiani, gli indimenticabili “Scritti da Rodez” di Antonin Artaud. Un frammento unico della vita e della poetica di uno degli intellettuali più complessi del Novecento.

“A nessun costo si vuole che Antonin Artaud, scrittore e poeta, possa realizzare nella vita le idee che manifesta nei libri”: perché indigente, indesiderato e indesiderabile, folle. Una follia che molto probabilmente ha scritto le pagine più intense, commoventi ed irriverenti della storia del teatro: palcoscenico e vita reale s'intrecciano, in opere come “Eliogabalo o l'anarchico incoronato” o con la tanto odiata “Per farla finita col giudizio di dio”, per restituire tutto il dramma della Crudeltà, atroce per Artaud tanto quanto sulla scena che nella realtà. “Le idee che ho le invento soffrendole io stesso, passo passo, io scrivo soltanto ciò che ho sofferto punto per punto in tutto il mio corpo, quello che ho scritto l'ho sempre trovato attraverso tormenti dell'anima e del corpo”.

Gli scritti da Rodez: follia e poesia

Ma, a differenza del teatro, non c'è redenzione o purificazione nella vita di Antonin Artaud: morirà, solo e malato, nella sua stanza di Ivry-sur-Seine nel marzo del 1948, dopo dodici anni di internamento in vari ospedali psichiatrici. Un male irreversibile, quello di Artaud, che le biografie ufficiali sono solite far risalire all'infanzia e ad una gravissima forma di meningite: sonnambulismo, balbuzie, grave depressione e dipendenza da oppiacei saranno le conseguenze più atroci della sua malattia.

Una malattia che prima di tutto è stata interiore, e del tipo più grave: l'arte. Un surrealismo respinto che approda ad esiti teorici altissimi negli anni immediatamente precedenti la diagnosi ufficiale di pazzia. Ma anche quando questa arriva, nel 1936, la sua poesia non smette di vivere nemmeno dietro le sbarre di un manicomio e sotto i colpi degli oltre cinquanta elettroshock ai quali verrà sottoposto: ne sono testimonianza i bellissimi “Scritti da Rodez”, ripubblicati da pochissimo dall'editore Adelphi.

La raccolta riunisce tutti gli scritti dal 1943, quando Artaud viene trasferito nella clinica di Rodez per essere curato dal dottor Ferdière, fervente sostenitore dell'elettroshock. Si tratta per lo più di lettere agli amici registi ed attori, ma non mancano passi dedicati alla madre o ai medici, i quali per anni erano stati per lui un tormento peggiore della malattia. Già nel 1924 Artaud scriveva:

L'elettroshock, signor Latremoliere, mi riduce alla disperazione, porta via la mia memoria, annichilisce la mia mente e il mio cuore, mi trasforma in qualcuno che è assente e che conosce di essere assente, e si vede per settimane ad inseguire il suo essere, come un uomo morto a fianco di uno vivo che non è più se stesso, ma che insiste che l'uomo morto sia presente anche se non può più rientrare in esso. Dopo l'ultima serie rimasi attraverso i mesi di agosto e settembre assolutamente incapace di lavorare e pensare, percependo di essere vivo.

Questa nuova edizione di Adelphi contiene un accuratissimo apparato di note che riferiscono delle pesanti sedute di elettroshock alle quali Artaud veniva sottoposto: nel 1944 Antonin pesa 55 chili e gli rimangono solo otto denti in bocca. Agghiaccianti restano i resoconti di Fedrière: “durante la terapia gli abbiamo rotto una vertebra, ma è irrilevante”.

“Gli esseri si credono ancora vivi ma sono morti”: un pensiero estremamente lucido sull'umanità come sa esserlo solo quello di un “folle”.

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