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Addio Ashley: anoressica e bulimica, aveva rifiutato cure. Il giudice: “Giusto lasciarsi morire”

30 anni di vita per 30 chili di peso. Ashley è deceduta tre mesi dopo che un giudice aveva accolto il suo desiderio di non essere sottoposta ad alimentazione forzata. Una battaglia legale non semplice per una ragazza che ha sempre sofferto. Il suo avvocato: “Ora siamo tutti felici”.
A cura di Biagio Chiariello
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30 anni, metà dei quali trascorsi lottando contro i disturbi alimentari di anoressia e bulimia. Una battaglia che alla fine Ashley G. non è riuscita più a portare avanti. La giovane è morta nel reparto cure palliative dell'ospedale di Morristown in New Jersey, come da lei richiesto. E’ deceduta tre mesi dopo che un giudice aveva accolto il suo desiderio di non essere sottoposta ad alimentazione forzata. Trenta non erano solo gli anni di questa giovane, ma anche i chili che aveva addosso quando se n’è andata.

Era inizialmente paziente del "Greystone Park psychiatric Hospital" di Parsippany e da ormai oltre un anno aveva chiesto al tribunale di non voler più bere o mangiare, di voler essere lasciata morire. Il giudice Paul Armstrong ha stabilito che la sua richiesta era stata “schietta, reattiva, intelligente, volontaria, salda e credibile”. A quel punto genitori, medici, psichiatri e il comitato etico cittadino, tutti hanno appoggiato la sua decisione di morire. "Sono lieto che lei, come voleva, non soffra più, ma estremamente triste perché nemmeno la scienza o una famiglia piena d'amore sono riuscite a salvarla", ha commentato l'avvocato della donna, Edward Alessandro.

Eppure la sua battaglia finale, quella per morire, è stata ugualmente difficile come quella per sconfiggere l’anoressia. Nel corso di una complessa battaglia legale, inizialmente la procura dello stato del New Jersey aveva rigettato la sua richiesta, sostenendo che Ashley non era “mentalmente in grado di intendere e volere”, e che l'anoressia “non è una malattia terminale”, tanto da disporre un’ordinanza che prevedeva l’alimentazione forzata alla paziente e, nel caso, di sottoporla ad una serie di trattamenti medici sperimentali. Disposizione che Ashley rifiutò nettamente, assicurando che avrebbe resistito con tutte le sue forze alla nutrizione artificiale.

Alla fine il Dipartimento di Stato dei Servizi Umani non ha impugnato la decisione del giudice Armastrong, che ha citato nella sua sentenza un altro caso portato davanti alla Corte suprema americana, quello di Hilda Peter a cui era stato rimosso un respiratore: "I nostri tribunali hanno uniformemente riconosciuto il diritto del paziente di rifiutare le cure mediche come un principio fondamentale del rispetto dell'autonomia del paziente, alla sua dignità e autodeterminazione".

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