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Opinioni

Anche Unicredit soffre nella giornata nera delle banche

Giornata no in borsa per le banche: da Mps a Bpm, da Unicredit a Intesa Sanpaolo oggi non si è salvato nessuno. Tra nuove maxi sanzioni in arrivo dagli Usa, crisi nell’Est Europa e sofferenze in aumento, il rischio per i piccoli azionisti è di restare col cerino in mano.
A cura di Luca Spoldi
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Che succede ai titoli bancari europei ed italiani in particolare? Stasera Bpm e Mps (quest’ultima anche sospesa al ribasso sul finale) chiudono la giornata di borsa rispettivamente in calo del 6,9% e del 6,3% a testa, ma anche Ubi Banca e Banco Popolare terminano in rosso di circa 5 punti ciascuno, mentre Intesa Sanpaolo termina a -4,1% e Unicredit limita i danni come può terminando a -3,8%. A deprimere il settore in tutta Europa sono il rischio di nuove maxi multe in arrivo dagli States per altre banche europee dopo Bnp Paribas (multata pochi giorni fa per poco meno di 9 miliardi, per aver effettuato transazioni in dollari per conto di residenti statunitensi tra il 2004 e il 2008 con alcuni paesi sottoposti a embargo da parte degli Usa).

In particolare secondo voci rimbalzate sin dalla prima mattinata Commerzbank (che ha poi chiuso a -5,2% sul listino di Francoforte) starebbe già trattando per arrivare a un accordo extragiudiziale così da non dover essere dichiarata colpevole. Costo previsto dell’accordo “bonario”: 500 milioni di dollari, che rappresenterebbero un peso non indifferente per una banca che pur essendo la seconda maggiore in Germania è da anni alle prese con una crisi che fatica a passare. Tra gli altri istituti indagati l’agenzia Bloomberg, che cita "una fonte a conoscenza dei fatti", ha elencato la numero uno tedesca, Deutsche Bank, le francesi Credit Agricole e Societe Generale e l’italiana Unicredit.

Purtroppo per l’istituto guidato da Federico Ghizzoni questa rischia di non essere la sola nuvola temporalesca all’orizzonte. In Bulgaria e Ungheria, in particolare, le cose stanno volgendo al peggio: nel primo caso un paese all’apparenza “solido” (debito/Pil pari ad appena il 22%, deficit/Pil attorno al 2%) la deflazione sempre più marcata (a fine maggio i prezzi al consumo mostravano un calo dell’1,8% su base annua, essendo calati di mezzo punto rispetto a fine aprile), una corruzione dilagante e una eccessiva “vicinanza” alla Russia (che ha comportato un riverberarsi delle tensioni legate alla crisi con l’Ucraina) sta registrando da qualche tempo una crisi di fiducia crescente. Crisi sfociata in una “corsa agli sportelli” che ricorda analoghi episoti avvenuti in Grecia o a Cipro e che ha visto prelevati oltre il 20% dei depositi in pochi giorni, dopo che la banca centrale bulgara ha dovuto prendere (in teoria temporaneamente) il controllo di una delle maggiori banche bulgare, a causa di problemi di liquidità.

In Ungheria invece il parlamento ha approvato una legge in base alla quale le banche dovranno compensare i clienti che avevano sottoscritto in passato prestiti, in gran parte sottoscritti in valuta straniera (per lo più in franchi svizzeri), inizialmente molto popolari grazie al basso tasso di interesse a cui erano erogati fino alla crisi del 2008, ma poi divenuti insostenibili a causa del crollo delle quotazioni del fiorino. Una disposizione di legge che richiederà “ingenti iniezioni di capitali” per le banche ungheresi, che in più dovranno far fronte anche ai legati al progetto di conversione dei mutui in valuta estera, da attuare sempre entro quest’anno.

Unicredit, all’epoca guidata da Alessandro Profumo (ora divenuto presidente di Mps), aveva attuato negli anni Novanta una politica di forte espansione verso la “nuova Europa” dell’Est e attualmente controlla Unicredit Bulbank, la maggiore banca estera della Bulgaria con 1,3 milioni di clienti, depositi per circa 4,2 miliardi di euro, investimenti per 6,5 miliardi e prestiti per 4,3 miliardi, per ora apparsa immune alla crisi. Qualche pensiero verrà anche a Carlo Messina, numero uno di Intesa Sanpaolo che in Ungheria controlla Cib Bank, quinto istituto di credito ungherese, che a fine settembre 2013 poteva contare su asset complessivi pari a quasi 6 miliardi di euro a fronte di circa 600 mila clienti, 3,8 miliardi di depositi e 4 miliardi di prestiti.

Se poi i pensieri relativi all’Est Europa o alle sanzioni Usa non dovessero bastare, secondo un report della Deloitte i cui risultati sono stati diffusi in giornata dall’agenzia Reuters, da qui al 2016 le banche italiane dovrebbero cedere qualcosa come 16 miliardi di crediti “problematici” (a fronte di 166 miliardi complessivi, destinati peraltro secondo gli esperti a salire a quota 188,5 miliardi entro la fine del prossimo biennio).  In questo caso dopo i primi “assaggi” visti nei mesi scorsi, che hanno portato le banche a cedere “al meglio” (si fa per dire visto che le percentuali di recupero rispetto al valore nominale sono oscillate attorno al 10%-15%) ad operatori specializzati e fondi di private equity scarsi 5,7 miliardi di “sofferenze” lorde.

Anche in questo caso tra le 25 maggiori banche italiane prese in esame da Deloitte nel suo studio Unicredit e Intesa Sanpaolo dovrebbero fare la parte del leone e non stupisce visto che complessivamente le due banche hanno come noto quasi 100 miliardi di crediti deteriorati, mentre a breve dovrebbe giungere il via libera di Banca d’Italia per far decollare operativamente la società veicolo in cui dovrebbero confluire una parte di crediti ristrutturati col gruppo americano KKR (secondo voci di mercato si tratterebbe in tutto di una decina di miliardi di euro di valor nominale).

Ciliegine sulla torta, si fa per dire: mentre Unicredit attende che la controllata tedesca Hvb ceda Dab, banca diretta multicanale attiva in Germania di cui detiene l’81,39% del capitale (Hvb pare chieda 500 milioni di euro, ben oltre i 380 milioni dell’attuale capitalizzazione di mercato, tra i potenziali acquirenti vi sarebbero Comdirect, la banca dirette di Commerzbank, piuttosto che Societe Generale, ma entrambi i nomi sono a “rischio sanzioni Usa” e questo potrebbe avere un impatto negativo sulle trattative), Intesa Sanpaolo potrebbe registrare un’ulteriore discesa della quota del suo azionista principale (con un 9,7%), Compagnia di San Paolo, che ha già ridotto la soglia minima della partecipazione dal 7,96% al 6,50%. Una decisione, si è affrettato a dire il presidente della Fondazione torinese, Luca Remmert, che non produrrà alcun effetto immediato sul portafoglio, ma per il futuro i giochi restano evidentemente aperti.

Curiosamente queste “cattive notizie”, alcune non proprio inimmaginabili, sono affiorate sul mercato solo dopo la chiusura del primo semestre e dopo che la maggior parte dei cospicui aumenti di capitale (in tutto oltre 9 miliardi di euro) è andata in porto con percentuali di partecipazione pressoché totalitarie. Un bene per le banche, che così dovrebbero superare senza troppi traumi l’Asset quality review e gli stress test della Bce, ma non necessariamente per i piccoli investitori che hanno sottoscritto titoli in alcuni casi scesi sotto i livelli pur “scontati” a cui sono stati sottoscritti: è il caso di Mps, che a fronte di un Terp (prezzo dell’azione rettificato dopo lo scorporo dei diritti) di 1,54 euro è calato stasera sotto gli 1,36 euro, o di Banca Carige, stasera a 15,96 centesimi per azione (contro un Terp pari a 16,36 centesimi).

Insomma: a pensar male si fa peccato, ma visto anche che prima degli aumenti alcune Fondazioni avevano alleggerito le proprie partecipazioni (come nel caso proprio di Mps e Banca Carige), non sarà che a farsi carico della ricapitalizzazione delle banche rischino non casualmente di essere principalmente i piccoli azionisti? Sarebbe quanto meno scorretto, visto che si tratta in molti casi di quegli stessi soggetti che rappresentano anche quei clienti a cui le stesse banche continuano a offrire ben poco credito nonostante la crescita dei depositi, come dimostrano gli ultimi dati di Banca d’Italia secondo cui a fine maggio i prestiti al settore privato sono calati del 3,2%  su base annua (dal -3,1% segnato in aprile), mentre sono continuati a crescere i depositi (+2,7% dal precedente +1,4%).

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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