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Anche per Veneto Banca si profila l’intervento del fondo Atlante

Banche, il quadro resta complicato anche dopo l’intervento del fondo Atlante a soccorso di BpVi. Vi è infatti il rischio concreto che anche per Veneto Banca non ci siano altri investitori pronti a parteciapare, nonostante le voci di interesse da parte di Ubi Banca e Bper…
A cura di Luca Spoldi
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Piazza Affari

Dopo il precedente dell’aumento di Banca popolare di Vicenza (BpVi), sottoscritto integralmente dal fondo Atlante per 1,5 miliardi di euro, una volta constatato il totale disinteresse degli investitori italiani ed esteri (nonostante i vertici della banca avessero provato fino all’ultimo a sollecitare la sottoscrizione da parte di vecchi e potenziali nuovi soci, estendendo anche il periodo di sottoscrizione), essere anche solo accostati dalla stampa all’idea di intervenire nel prossimo aumento di Veneto Banca (1 miliardo di euro) non porta bene, come hanno imparato a loro spese negli ultimi giorni tanto gli azionisti di Ubi Banca quanto quelli di Bper, che puntualmente hanno visto i titoli calare in borsa al diffondersi di simili voci e recuperare ad ogni smentita ufficiale.

Così anche oggi, visto la piega che stava prendendo la giornata, è stato necessario che un portavoce smentisse ufficialmente che in casa Bper si stia studiando se e come partecipare all’aumento per azzerare le perdite. Le indiscrezioni parlavano di una possibile offerta in cordata col fondo statunitense Lone Star, lanciato nel 1995 da John Grayken, interessato a prendere in carico i crediti deteriorati della banca di Montebelluna per la quale lunedì dovrebbe essere fissata la forchetta indicativa di sottoscrizione che come già per BpVi dovrebbe essere molto (forse troppo) ampia, di 0,5-2,5 euro.

Se, come è probabile, l’aumento venisse eseguito a 0,1 euro per azione i soci che sottoscrissero le azioni di Veneto Banca al picco di 40,75 euro toccato nel 2013 vedrebbero bruciato il 99,75% del proprio capitale. Ma anche a 2,5 euro la perdita sarebbe attorno al 94%. Tuttavia anche a 0,1 euro per azione Veneto Banca verrebbe valutata a multipli superiori a quelli di Ubi Banca (il cui amministratore delegato, Victor Messiah, non ha perso occasione per ribadire che la banca non è interessata a sottoscrivere l’aumento, nonostante voci diametralmente opposte circolate sulla stampa italiana).

L’istituto verrebbe infatti valutato 0,35 volte il patrimonio netto, meno delle 0,38 volte a cui il fondo Atlante ha dovuto rilevare il 99,33% di BpVi, ma sopra i multipli a cui sono scambiati in borsa i titoli di Ubi Banca (0,32), Banco Popolare (0,30) e Credito Valtellinese (0,28), per non parlare di istituti da tempo in difficoltà come il Monte dei Paschi di Siena (0,19) e B anca Carige (0,16). Si noti che un mese fa, prima che l’aumento di BpVi si trasformasse in un fiasco, i multipli delle quotate erano superiori (Ubi trattava a 0,39 volte il patrimonio netto, Credito Valtellinese 0,36 volte, Banco Popolare 0,35 volte), come dire che l’obiettivo di rassicurare il mercato, per il quale è stato lanciato il fondo Atlante, non è stato per ora raggiunto.

A riprova di come il clima resti a dir poco fragile, anche gli attuali soci di Veneto Banca sembrano poco propensi a gettare altri soldi nella fornace ed anzi sarebbero ora disponibili a far la loro parte solo fino a 150 milioni di euro, 100 milioni di euro in meno rispetto a quanto era inizialmente circolato sui giornali. Considerando che nei prossimi mesi i mercati dovranno affrontare delle incognite quali gli esiti del referendum sulla “Brexit”, il 23 giugno, un possibile rialzo dei tassi ufficiali Usa tra giugno e luglio e l’eventuale ponderazione per il rischio dei titoli di stato in portafoglio, non è da escludere che la situazione possa ulteriormente deteriorarsi.

Questo renderebbe non impossibile un intervento di Atlante anche in soccorso di Banco Popolare (che deve trovare un altro miliardo di euro entro luglio). Il problema è che data la limitata “potenza di fuoco” di Atlante (4,2 miliardi di euro, di cui però 1,3 miliardi dovrebbero essere riservati all’acquisto di crediti deteriorati) se anche nel caso di Veneto Banca il fondo dovrà sottoscrivere l’intero aumento resterebbero in cassa, per partecipare a ulteriori aumenti, appena 400 milioni di euro. La prospettiva di una riapertura delle sottoscrizioni ovvero di una richiesta di nuovi versamenti agli attuali partecipanti al fondo (64 investitori in tutto, in primis Unicredit e Intesa Sanpaolo con un miliardo a testa e Cdp con 500 milioni), già avanzata da alcuni analisti, si farebbe più concreta.

Ma questo, a sua volta, rischierebbe col far percepire come più rischiose/meno redditizie anche Unicredit, che già sconta il timore di un proprio aumento da 4-7 miliardi di euro, e Intesa Sanpaolo, mentre CdP, cui fa capo la gestione del risparmio postale italiano, è già impegnata da mesi in operazioni “di sistema” che per ora si stanno rivelando molto poco redditizie. Gli spazi di manovra restano dunque molto esigui, nonostante gli sforzi finora messi in campo e nonostante qualche timido segnale di miglioramento sotto il profilo della qualità del credito, con il rallentamento della crescita dell’aggregato di crediti deteriorati e in particolare di sofferenze.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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