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Amnesty Francia: “Con la scusa della lotta al terrore si limitano le libertà dei cittadini”

Dominique Curis, coordinatrice delle campagne di Amnesty International Francia, spiega: “Con la scusa della lotta al terrorismo si aprono le porte ad abusi e a restrizioni delle libertà personali di tutti i cittadini. Inammissibile che gli Stati abbiano accesso ai dati personali dei cittadini”.
A cura di Redazione
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Nel giorno in cui la Camera dei deputati si appresta a dare il primo via libera ad un controverso decreto antiterrorismo, si riapre il dibattito sugli strumenti “atti a garantire la sicurezza dei cittadini e a prevenire eventuali minacce legate al terrorismo internazionale”. Per provare a capire come anche altri Paesi europei abbiano deciso di affrontare la questione, abbiamo raggiunto al telefono Dominique Curis, coordinatrice delle campagne per Amnesty International Francia, organizzazione in prima linea contro la nuova legge sulla sicurezza, che sarà discussa a breve dall’Assemblea Nazionale.

Un progetto di legge che Amnesty contesta duramente, come ci spiega la Curis: “Si legalizzano pratiche illegali e inammissibili; si legittima la sorveglianza di massa, che non è ammissibile dal punto di vista delle leggi internazionali e non si offre alcuna garanzia di protezione alla libertà individuale”. Uno dei punti oscuri è l’assenza dell’obbligatorietà della supervisione giudiziaria, “un elemento chiave per garantire la correttezza delle pratiche di sorveglianza, con una supervisione che possa determinare se quella o questa domanda dei servizi segreti per mettere in atto queste pratiche invasive siano giustificate o meno”. “E la stessa Commissione di controllo prevista dalla legge”, continua, “non avrà alcun peso, perché troppo dipendente dalle decisioni del primo ministro” e soprattutto perché “l’assenza di controllo da parte dell’autorità giudiziaria e di meccanismi chiari di ricorso aprono la porta a delle pratiche che potrebbero essere orientate politicamente, con tutti i rischi che ciò comporta”.

Nella lettura di Amnesty, dunque, è “inammissibile che gli Stati abbiano accesso totale ai dati personali dei cittadini” e la “scusa” della lotta al terrorismo non è ragione sufficiente alla restrizione delle libertà individuali. Anzi, spiega la Curis: “Spesso ci rendiamo conto che questi provvedimenti non migliorano affatto la lotta al terrorismo, ma ampliano semplicemente il campo della sorveglianza ad ambiti che non hanno nulla a che fare con esso, come le manifestazioni politiche o i movimenti di protesta dei cittadini; la realtà è che in gioco vi sono interessi maggiori, economici e politici”. Il problema non è la lotta al terrorismo, che nessuno mette in discussione, ma “l’inaccettabilità della sorveglianza di massa, che ci costringe a rinunciare alla nostra libertà, alla nostra vita privata in nome di una pseudo lotta al terrore; la sorveglianza deve essere mirata, definita da parametri legislativi e sottoposta al controllo giudiziario”. È un problema ampio, quello dello scambio “sicurezza – libertà” che, nota amaramente Curis, è peggiorato dopo i fatti di Charlie Hebdo: “Sembra che il termine ‘sicurezza’ abbia chiuso il dibattito, ormai c’è una sorta di pseudo consenso politico per non affrontare il problema delle libertà individuali e per non riaprire il dibattito su ciò che sacrifichiamo in nome della sicurezza”.

Intervista a cura di Francesco Raiola

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