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Altro che spesometro: occorre poter detrarre le spese

Ultimo giorno per inviare lo “spesometro” da parte dei contribuenti italiani, a fine mese toccherà a banche e gestori di carte di credito. Ma per combattere l’evasione serve altro, ad esempio consentire di portare in detrazione tutte le spese fatturate.
A cura di Luca Spoldi
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Carpe Diem: spero vi siate goduti il lungo ponte di Pasqua che ha regalato sole e caldo in gran parte d’Italia, ma fate attenzione, oggi è il 22 aprile ed è quindi l’ultimo giorno utile per inviare lo “spesometro” ovvero la dichiarazione relativa alle spese sostenute a fini Iva nel corso del 2013 da parte di chi liquida l’Iva stessa su base trimestrale (vale a dire la maggior parte delle “partite Iva” che fanno riferimento a una persona fisica o a una società di persone). Pochi giorni fa, il 10 aprile, avevano già dovuto provvedere ad analoga comunicazione i contribuenti che versano l’Iva con cadenza mensile, mentre tra qualche giorno, il 30 aprile, toccherà alle banche e operatori finanziari attraverso i quali passano i pagamenti tramite bancomat o carta di credito, che dovranno segnalare ogni acquisto d’importo pari o superiore ai 3.600 euro.

Attenzione  però: tale limite, che si andrà ad abbassare l’anno venturo, vale solo per gli intermediari finanziari, non per le partite Iva. Nel nuovo modello di spesometro, che con il “redditometro” dovrebbe costituire uno strumento per migliorare la lotta all’evasione fiscale, versione semplificata della dichiarazione che doveva esordire già lo scorso ottobre e che poi, di rinvio in rinvio, è stata inviata entro il 31 gennaio scorso da tutti i contribuenti italiani, ciascun contribuente deve infatti riepilogare l’ammontare complessivo delle operazioni soggette all’obbligo di fatturazione eseguite nei riguardi di ogni singolo cliente (o ricevute da ciascun fornitore) nel corso del 2013, indipendentemente dall’importo. Solo le operazioni non soggette all’obbligo di fatturazione (ma certificate da scontrini o ricevute fiscali, come ad esempio le “spese dell’amministratore”), debbono invece essere comunicate nel caso in cui l’importo (comprensivo di Iva, dunque per qualunque importo base superiore, in caso di Iva al 22%, a 2.950 euro) supera la soglia dei 3.600 euro.

Potranno spesometro e redditometro combattere l’evasione e, magari, contribuire a recuperare risorse utili per alleggerire un carico fiscale sempre più insostenibile ma che anche il Def di recente varato dal governo Renzi conferma in crescita almeno ancora per quest’anno e il prossimo? C’è chi ne dubita, ed io sono tra costoro: i contribuenti italiani in tutto sono oltre 41 milioni secondo i dati al 2012: ve l’immaginate l’Agenzia delle Entrate che effettua controlli incrociati anche solo alcuni milioni di dichiarazioni alla ricerca di errori od omissioni (che darebbero luogo a sanzioni d’importo tra i 258 ai 2.065 euro, previste anche in caso di mancato invio della dichiarazione)?  Nel 2012 ci sono stati quasi un milione di controlli documentali e centralizzati sulle dichiarazioni dei redditi, poco più di 330 mila altri controlli formali su atti e documenti, meno di 10 mila verifiche e circa 741 mila accertamenti.

Dubito che questi numeri possano cambiare di molto, come dubito possano cambiare significativamente gli importi complessivi del recupero dell’evasione (che nel 2012 sono già risultati pari a 12,47 miliardi, ossia oltre un miliardo di recupero di imposte evase al mese, a fronte di poco più di 41 mila tra dirigenti e impiegati dell’Agenzia). La cosa che poi non riesco a capire nonostante mi ci metta d’impegno da molti anni è perché in Italia, dove secondo “stime” (che io stesso non saprei in base a quali parametri formulate) si evadono dai 150 ai 180 miliardi l’anno, non si tagli la testa al toro, decidendo ad esempio di consentire la detraibilità in sede di dichiarazione dei redditi di tutte le spese soggette ad obbligo di fatturazione (o meglio ancora documentate in modo certo tramite scontrino o ricevuta fiscale), indipendentemente dalla loro motivazione.In questo modo il contribuente “onesto” sarebbe da un lato incentivato a chiedere sempre fattura e/o scontrino ogni volta che paga (non solo nel caso di spese mediche o versamenti legati a mutui o fondi pensione, ad esempio), dall’altro lato premiato per il suo “contributo” alla lotta all’evasione.

Dicono alcuni osservatori che una simile “concorrenza fiscale in dichiarazione” non servirebbe ad azzerare gli spazi dell’evasione perché in un sistema di tassazione (sui redditi) progressiva come quello italiano, i contribuenti con aliquota marginale più elevata avrebbero spazio per “offrire” (sottobanco, come già oggi avviene) uno sconto sul costo della prestazione a tutti i contribuenti ad aliquota inferiore. Purtroppo è assolutamente vero, come è vero che l’unico modo per eliminare l’evasione (o ridurla drasticamente) sarebbe ridurre al minimo sia la spesa pubblica sia la necessità di farvi fronte con entrate fiscali. Ipotesi peraltro che può apparire affascinante solo se pensate di vivere in un paese che offre a tutti le stesse (elevate) possibilità di mantenere un adeguato tenore di vita e non è eccessivamente indebitato.

Altrimenti rischiereste che a fronte di ogni sia pur minima riduzione della spesa pubblica, che spesso significa blocco delle assunzioni e/o degli investimenti con relativo scadimento dei servizi erogati dal pubblico settore con tutto quanto ne consegue, non si otterrebbe alcuna diminuzione della pressione fiscale perché i “risparmi” così ottenuti servirebbero a malapena a pagare il costo del debito pubblico pregresso (vi suona familiare questa “ipotesi”?). In compenso per quanto la mia ipotesi sia incompleta (e rischi di non cambiare drasticamente la situazione attuale), avrebbe il pregio di non farci sentire presi per i fondelli due volte, dovendo pagare sia le tasse sul nostro reddito sia “ripagarle” su quella parte di reddito che dalle nostre tasche fluisce ogni anno nelle tasche altrui (dove non ci è dato di sapere se verrà tassato o meno e in che misura) e che pure non possiamo portare a detrazione del nostro imponibile.

Insomma: più che spesometri, redditometri, “spiometri” e amenità del genere che personalmente mi ricordano il romanzo Orwelliano “1984”, sarebbe il caso di chiederci come rendere sostenibile nel concreto un sistema che continua ad aumentare la pressione fiscale, fa poco o nulla per contenere e riqualificare la spesa pubblica, prova a gettare la croce sull’evasione senza dotarsi peraltro degli strumenti necessari a ridurla significativamente e continua a vedere di anno in anno “la luce in fondo al tunnel”, senza peraltro arrivare ad una ripresa degna di tal nome e quasi che far passare tempo non rappresenti un costo, quanto meno in termini di opportunità “bruciate” per un’intera generazione o più. La risposta è appunto legata alla possibilità di vedere o meno una ripresa attorno o sopra il 2% reale (e al 3%-4% nominale), a fronte di oneri sul debito stabili, di un graduale sgonfiamento del rapporto debito/Pil e di un rilancio delle prospettive per le imprese italiane sia che esportino all’estero sia che operino sul mercato domestico. Tutto sommato forse è meno irrealistico sperare che un giorno un governo italiano sia così illuminato da consentire di portare in detrazione ai propri redditi ogni spesa regolarmente fatturata.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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