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Altro che il “No”: il danno per la stabilità è l’atteggiamento di Renzi

La “stabilità” dopo un voto referendario che ha democraticamente espresso la propria sfiducia per il governo è affare principalmente di tre persone. Tre. Presidente della Repubblica, Presidente del consiglio uscente e Segretario del partito di maggioranza. Altro che “il fronte del No”.
A cura di Giulio Cavalli
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Ad un certo punto di questa brutta campagna referendaria il fronte del Sì ha imbracciato a muso duro l'arma della "stabilità". Si paventava che un'eventuale vittoria del No avrebbe sgretolato il Paese, allontanato gli investimenti esteri, ucciso le banche e contribuito al crollo delle Borse. Scenari apocalittici da invasione di cavallette tutti legati a doppio file alla parola che s'era fatta slogan, "stabilità", come se non fosse curioso che ad agitarla fossero tra l'altro i professionisti del cambiamento. E alla fine il No ha vinto, le borse crescono (sì, crescono, oggi crescono tutti i principali titoli tranne, guarda un po', MPS), i Paesi stranieri non hanno avuta reazioni da stracciamento di vesti e i bancomat i funzionano ancora. Ma la "stabilità"? Quella latita, congelata. Per colpa di Renzi.

La stabilità politica di un Paese non è l'allentamento della partecipazione democratica e nemmeno l'autopreservazione degli stessi poteri: la stabilità di un Paese sta nella continuità con cui, nel naturale ricambio politico che è di tutte le democrazie, si rispettano le regole, gli impegni e gli accordi che lo Stato ha siglato a livello nazionale e internazionale. Agli investitori stranieri (e all'Europa se non cade nella tentazione di farsi guida piuttosto che comunità) interessa un'Italia che non dia la sensazione di poter "crollare" nell'impianto economico, sociale e legislativo; la politica è solo elemento collaterale di queste garanzie, almeno che la politica (una parte politica) non abbia preso accordi particolari al di fuori del proprio ruolo pubblico e trasparente. Quindi (non volendo pensare che questa Italia sia prona a convergenze che non siano scritte nero su bianco sui trattati passati all'esame parlamentare) la "stabilità" dopo un voto referendario che ha democraticamente espresso la propria sfiducia per il governo è affare principalmente di tre persone. Tre.

Il Presidente della Repubblica, innanzitutto. E il Presidente della Repubblica, piaccia o no, sta svolgendo il proprio ruolo: quando Renzi ha ipotizzato di sparire volendosi portare a casa il pallone e senza spegnere le luci Sergio Mattarella ha ricordato che alcuni impegni (come la manovra finanziaria) non possono sottostare alle baruffe e agli egoismi. Semplice, lineare: stabile, appunto.

Il Presidente del Consiglio uscente. Matteo Renzi ha deciso che il risultato del referendum fosse il segnale chiaro del suo doversi fare da parte. Ha interpretato (bene) la parte dello sconfitto e ha annunciato un periodo di riflessione (anche se il messaggio non pare arrivato ai "suoi", ma questo è un altro discorso). Ma Renzi, da Presidente del Consiglio seppur dimissionario, ha il dovere istituzionale di custodire e accompagnare la propria uscita di scena senza isterie, senza inutili allarmi di prossimi diluvi (che poi, dico, ancora? Ma non si è ancora capito che non funzionano?) e senza intaccare la credibilità del Paese tratteggiando a tinte fosche chi potrebbe esserci dopo di lui. Lo sta facendo? Poco. E i suoi fedelissimi proprio per niente. Ecco perché Renzi è il primo pericolo per la stabilità del Paese e la sua credibilità.

Poi c'è il Parlamento. Meglio: c'è il partito di maggioranza in Parlamento. Meglio ancora: il suo segretario che, guarda caso, è sempre lui, Matteo Renzi. E il segretario del partito di maggioranza dovrebbe (in nome della "stabilità") garantire l'impegno di ascoltare i segnali giunti dal referendum popolare per sostenere responsabilmente (del resto anche la "responsabilità" una volta era un mantra) le decisioni del Presidente della Repubblica e il ruolo principe del Parlamento. Ricordate quando (giustamente) negli scorsi mesi il PD si sgolava per dire che Renzi non era stato eletto perché il Parlamento è l'organo che pone la fiducia? Ottimo. Sfugge onestamente perché quello stesso Parlamento oggi dovrebbe essere spodestato da un presunto "fronte del No" (che tra l'altro non è fronte politico). Il Parlamento faccia il Parlamento e il segretario del PD faccia il segretario. Sta succedendo? La risposta è fin troppo facile.

Così, dopo la personalizzazione della campagna, si continua anche con la personalizzazione (questa più cattiva e vendicativa) della sconfitta. E la "stabilità" ha smesso di essere un valore subito dopo il soffio dei primi scrutini. A proposito di sguardi lunghi e ruoli istituzionali. Appunto.

(ps la manovra sembra che verrà approvata in tempi strettissimi. Miracoli del bicameralismo perfetto.)

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Autore, attore, scrittore, politicamente attivo. Racconto storie, sul palcoscenico, su carte e su schermo e cerco di tenere allenato il muscolo della curiosità. Collaboro dal 2013 con Fanpage.it, curando le rubriche "Le uova nel paniere" e "L'eroe del giorno" e realizzando il format video "RadioMafiopoli". Quando alcuni mafiosi mi hanno dato dello “scassaminchia” ho deciso di aggiungerlo alle referenze.
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