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Alla ricerca del multiverso con i neutroni

Un esperimento dell’Università del Belgio punta a ottenere una verifica sperimentale dell’esistenza del multiverso, l’ipotesi teorica secondo cui il nostro non sarebbe che uno degli infiniti universi. Il tutto grazie a un campo magnetico di neutroni. Ma sarà dura.
A cura di Roberto Paura
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Per una volta non sono i neutrini i protagonisti di questa storia, ma i loro lontani parenti “pesanti”, i neutroni, le particelle cioè che compongono il nucleo atomico. Meno misteriosi dei neutrini, i neutroni hanno tuttavia importanti peculiarità che potrebbero ora essere sfruttate per ottenere una verifica sperimentale fino a oggi considerata impossibile: scoprire, cioè, se esiste davvero il multiverso teorizzato da molti fisici e cosmologi. L’idea è venuta in mente a Michael Sarrazin, ricercatore all’Università di Namur, in Belgio, che ha elaborato l’esperimento insieme a un’équipe del Laboratorio di fisica dei solidi. Le possibilità di esito positivo sono inferiori a una su un milione, è vero, ma in palio c’è più di un Nobel: c’è l’eventuale scoperta di un universo ben più grande di quanto finora immaginato.

Molti universi, molti multiversi

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Cos’è, esattamente, un multiverso? Gli scienziati in realtà non hanno le idee molto chiaro sull’argomento. Quello che sappiamo per certo è che il multiverso è un insieme di più universi, tendenzialmente infiniti o quasi. Insomma, come spiega l’astrofisico Paul Davies, “quello che abbiamo sempre chiamato ‘universo’ non è affatto tale”. Piuttosto, è “soltanto un frammento infinitesimale di un sistema molto più vasto e complicato: un insieme di universi, o di regioni cosmiche distinte”. Ma perché immaginare un multiverso, quando già l’universo costituisce un bel grattacapo per il cosmologo e per l’uomo della strada? Perché in realtà questa teoria sarebbe in grado di risolvere uno dei problemi più spinosi della scienza, se non il più spinoso in assoluto: perché il nostro universo ha dato origine alla vita nonostante le probabilità fossero davvero molto, troppo basse.

Soluzioni a questo dilemma ne sono state proposte tante, da quella teologica che implica l’esistenza di un Dio creatore a quella scientista che si affida alla legge dei grandi numeri e ci garantisce che, se le cose fossero andate diversamente, non saremmo qui a parlarne. Ma a molti scienziati questa rigida divisione non piace, e il multiverso potrebbe fare al caso loro. Si tratta, in sostanza, di recuperare la vecchia idea cara a Leibnitz per cui il nostro sarebbe il migliore degli universi possibili, perlomeno dal nostro punto di vista. Tra i tanti, infiniti universi, il nostro sarebbe l’unico, o uno dei pochi, ad aver sviluppato vita intelligente: del resto, su un numero infinito di probabilità, prima o poi anche la combinazione di circostanze più improbabile si realizza. Insomma, nel multiverso la maggior parte dei sotto-universi è sterile e privo di vita. Molti magari sono abortiti nei primi istanti dopo il loro Big Bang. Altri invece sono identici al nostro, ma non ospitano la vita come la conosciamo. Altri ancora pullulano di specie viventi, assai più del nostro.

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Ma c’è un altro tipo di multiverso che è invece stato teorizzato dai fisici quantistici e serve a risolvere un altro tipo di problema. È quel che avviene in fisica quantistica quando si effettua un’osservazione su un sistema microscopico: secondo le leggi della meccanica dell’infinitamente piccolo, fino a che non si compie l’osservazione il sistema non ha uno stato definito, ma coesistono stati diversi. Un gatto all’interno di una scatola chiusa, sostiene un famoso paradosso, è vivo e morto contemporaneamente finché non apriamo la scatola e osserviamo direttamente il suo interno. Il multiverso quantistico, proposto dal fisico Hugh Everett III nel 1957, propose di risolvere il paradosso sostenendo che queste diverse realtà coesistono all’interno di universi paralleli. Questo tipo di multiverso è quindi radicalmente diverso dal precedente ed è costituito da un’infinità di continue biforcazioni della realtà, non da universi che nascono – come dovrebbe essere capitato al nostro – con un Big Bang e proseguono con una loro naturale evoluzione. Per distinguerlo dal multiverso classico, Roger Penrose ha proposto di definire il mutiverso quantistico omnium. Una recente scoperta sembra andare in direzione di una conferma dell’esistenza dell’omnium, anche se ci vorrà tempo per avere una conferma definitiva.

In cerca di conferme

Ma è possibile ottenere una conferma del multiverso classico, quello di tipo cosmologico? È ovvio che non li possiamo osservare direttamente, perché gli altri eventuali universi si trovano al di là del nostro campo visivo, che costituisce l’universo conosciuto – il nostro. Quello di cui abbiamo bisogno sono prove indirette. Sono state più volte ipotizzate prove di questo tipo, ma finora i limiti sperimentali hanno lasciato queste ipotesi nel campo dell’irrealizzabilità. L’esperimento proposto da Michael Sarrazin, spiegato in un articolo pubblicato on-line su arXiv e quindi in attesa di pubblicazione “ufficiale”, punta a realizzare l’incredibile osservazione attraverso i neutroni. Più precisamente, neutroni ultrafreddi verrebbero confinati all’interno di un campo magnetico, andando a realizzare una sorta di “bottiglia magnetica”: una bottiglia  con dentro, quindi, una sorta di messaggio affidato alle onde del multiverso. I neutroni, all’interno della bottiglia magnetica, si muoverebbero lentamente rendendone facile l’osservazione. Alcuni di essi potrebbero infatti sparire, passando all’interno di un altro universo. Come? Attraverso una differenza di potenziale gravitazionale. Nell’arco di un anno – il tempo considerato per l’esperimento – la Terra compie un giro completo intorno al nostro Sole e la forza gravitazionale che agisce sul campo magnetico della “bottiglia” cambia. Questa differenza di potenziale agevolerebbe il viaggio in universi paralleli, che sarebbe individuato nel momento in cui alcuni neutroni sparissero nel nulla senza spiegazione.

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Curiosamente, l’esperimento di Sarrazin ricorda quello proposto dal celebre scrittore di fantascienza e biochimico americano Isaac Asimov nel suo romanzo Neanche gli dèi, del 1972. Lì, veniva scoperto un modo per comunicare tra universi paralleli: una pompa che proietta elettroni da un universo a un altro, instaurando un collegamento tra universi on leggi fisiche diverse. Infatti uno dei metodi più promettenti per l’individuazione indiretta di universi paralleli consiste, secondo gli scienziati, nella possibilità di scoprire indizi di leggi fisiche differenti in altre porzioni dell’universo. Ciò in quanto nel multiverso le leggi della fisica sarebbero diverse da universo a universo.

C’è di che perdere la testa. Forse è per questo che molti scienziati storcono il naso a sentir parlare di multiversi. È il caso di David Gross, premio Nobel della fisica, oggi all’Università della California, Santa Barbara. Secondo Gross, il multiverso è un escamotage al problema della comprensione ultima dell’universo. Non è insomma una soluzione, ma solo un modo per aggirare l’ostacolo. Alla fine si arriverà a una teoria – la cosiddetta “Teoria del Tutto” – che saprà dare conto dei misteri del nostro cosmo ma che farà a meno anche dei multiversi. Non a caso Paul Steinhardt, docente a Princteon, dove siede alla cattedra che fu di Albert Einstein, definisce il multiverso “un’idea pericolosa che io sono assolutamente riluttante a prendere in considerazione”. Vedremo se i neutroni nella bottiglia serviranno a far avanzare la ricerca degli altri universi.

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