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Opinioni

Alitalia: chi vince e chi perde con Ethiad

Ethiad-Alitalia trattano ancora. Se Matteo Renzi e i sindacati sembrano sereni, qualche dubbio sui tempi e sull’esito finale è lecito, come è lecito recriminare sugli errori finora commessi in una vincenda che rischia di finire male, ma potrebbe proseguire peggio…
A cura di Luca Spoldi
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Se c’è una vicenda che sembra la cartina di tornasole dell’incapacità della classe politica italiana di fare i conti con la realtà è Alitalia. Se il premier Matteo Renzi, nel corso di un filo diretto su Twitter (che per la prima volta dal suo insediamento a Palazzo Chigi riprende il tradizionale appuntamento “Matteorisponde”) a chi gli chiedeva “perché non siamo in grado di risollevare Alitalia, dopo che noi contribuenti abbiamo investito miliardi in questa azienda?” ha risposto “Aspettiamo la risposta ufficiale di Etihad, poi risponderemo di conseguenza”, le trattative paiono in realtà ancora abbastanza in alto mare nonostante l’ottimismo che anche il leader della Cisl, Raffaele Bonanni, è sembrato ostentare parlando di “ultime battute negoziali prima di una intesa” tra Alitalia ed Ethiad, dopo che si è tenuto il Cda della compagnia sorta dalle ceneri dell’ex compagnia di bandiera italiana, durante il quale l’amministratore delegato, Gabriele Del Torchio, ha aggiornato i consiglieri sull’andamento delle trattative.

Secondo quanto si è detto sinora a separare i due potenziali “partner a metà (perché le attuali norme Ue prevedono che i vettori aerei titolari di licenza sui cieli comunitari, come Alitalia, non possano essere posseduti per più del 50%, o anche solo controllati di fatto, da soggetti economici extracomunitari) sono le richieste di Ethiad in tema di esuberi, ristrutturazione del debito e rotte. Quanto al primo punto, il vettore di Abu Dhabi chiederebbe almeno altri 3 mila esuberi, equivalenti ai lavoratori di Alitalia che a seguito dei vari accordi sottoscritti negli anni si trovano tuttora  alle prese con contratti di solidarietà, o in cassa integrazione a zero ore o infine in cassa integrazione a rotazione. Grosso modo la cifra corrisponde ai 4 mila esuberi che avrebbe richiesto ancora lo scorso anno Air France (assieme al dimezzamento della flotta, alla chiusura di Alitalia Handling e alla riduzione delle attività di Fiumicino col trasferimento delle principali funzioni aziendali a Parigi).

Quanto alle rotte e alle relative ricadute sul sistema aeroportuale nazionale, Ethiad chiederebbe una riorganizzazione “radicale”, che prevederebbe la riduzione delle tratte a medio raggio, il rafforzamento di quelle intercontinentali e un “forte impegno” sulle infrastrutture necessarie a valorizzare Fiumicino, ipotesi che metterebbe una seria ipoteca sul futuro sviluppo del “hub” di Malpensa, tanto caro alla Lega Nord (e a Silvio Berlusconi, promotore della cordata di “capitalisti patrioti” che ha rilevato per 1 miliardo di euro la parte sana, si fa per dire, di Alitalia nel 2008 fondendola con Air One). Infine il debito: Alitalia ha circa un miliardo di debiti bancari, in particolare con le “banche di sistema” Unicredit (che di Alitalia è socia al 12,99%) e Intesa Sanpalo (socia al 20,59% della compagnia e già finanziatrice di Air One, oltre che advisor per la vendita di Alitalia stessa agli imprenditori “patrioti” guidati da Roberto Colaninno), che Ethiad vorrebbe fosse tagliato di 400 milioni.

Le banche, che già in questi ultimi anni hanno dovuto ingoiare parecchi rospi da Telecom Italia a Risanamento, da Carlo Tassara a Sorgenia e che nel frattempo stanno iniziando ad alleggerirsi delle proprie sofferenze con “bad bank” interne e successive cessioni di pacchetti di crediti problematici, questa volta cercherebbero di non concedere troppi sconti. Nel frattempo Alitalia avrebbe bisogno, ancora una volta, di un’iniezione di mezzi freschi (si parla di altri 500 milioni di euro) perché la compagnia, che a gennaio ha trasportato 1 milione e 476 mila passeggeri (+ 0,5% su gennaio 2013) e a febbraio altri 1 milione e 380 mila passeggeri (+1% su febbraio 2013), continuerebbe a volare in perdita, anche se la nota del Cda parla laconicamente di un andamento nel primo trimestre “in miglioramento rispetto al 2013 ed in linea con le previsioni di piano” (ma è bene ricordare che i primi tre mesi del 2013 si erano chiusi con una perdita di 157 milioni).

Quanto è costato non accettare la prima offerta formulata da Air France-Klm nel marzo del 2008 per difendere “l’italianità” di una compagnia che sembra operare strutturalmente in perdita e dunque forse si sarebbe fatto prima a far fallire? Secondo una stima di Pietro Ichino di alcuni mesi or sono, quasi 4,5 miliardi tra i mancati introiti (il gruppo francese offriva 140 milioni di euro per rilevare tutte le azioni di Alitalia e farsi carico di tutti i suoi debiti, per un controvalore di circa 1,7 miliardi in tutto), i prestiti “ponte” mai più restituiti allo stato italiano (300 milioni di euro), il danno ai creditori (in buona misura l’erario) legati alla creazione di una “bad company” (Ichino stimò circa 1,2 miliardi, sostanzialmente pari al passivo rimasto in capo alla società), la manciata di milioni pagati al Commissario straordinario incaricato della liquidazione della “bad company” stessa, Augusto Fantozzi (uscito di scena nel luglio del 2011 dopo tre anni esatti di incarico nei quali aveva portato a termine cessioni per circa 1,14 miliardi).

In più andrebbero conteggiati i danni derivanti agli utenti dalla minore concorrenza generata dalla fusione di Alitalia con Air One, il suo principale competitor sul mercato domestico (con relativa tutela del sostanziale monopolio sulla “ricca” tratta Milano-Roma), la progressiva riduzione dei voli internazionali continentali e intercontinentali  ed un numero di esuberi (ad oggi circa 7 mila) molto maggiore di quelli prefigurati inizialmente da Air France-Klm (circa 2.100). Danni e costi che potrebbero ancora aumentare, dato che la vicenda non sembra comunque essere prossima alla sua fine.

Air France-Klm, anche dopo l’ultima ricapitalizzazione dell’ottobre scorso che vide l’ingresso, inopinatamente celebrato dal governo Letta, di Poste Italiane col 19,48% in cambio di 75 milioni (soldi che rischiano di finire bruciati senza che nessuna “sinergia” sia mai emersa al di là dei comunicati stampa), resta infatti con il suo 7,08% di capitale uno dei principali soci dell’ex compagnia di bandiera italiana, subito alle spalle delle banche, di Poste Italiane, della Immsi di Roberto Colaninno (10,19%) e dell’Atlantia del gruppo Benetton (7,44%), che lo scorso anno ha incorporato Gemina, cui faceva già capo Aeroporti di Roma,  subentrandone negli impegni (il piano di investimenti per ammodernare e ampliare l’aeroporto di Fiumicino prevedeva una spesa di 2,5 miliardi in 10 anni di cui 1,2 nei primi quattro).

L’ingresso di Ethiad, che da parte sua ha chiuso i primi tre mesi dell’anno con 3,2 milioni di passeggeri trasportati dai suoi 95 aeromobili, 1,4 miliardi di dollari di fatturato (cui occorre sommare i 243 milioni di dollari di fatturato della divisione cargo) nell’azionariato di Alitalia, la riorganizzazione e il potenziamento delle rotte intercontinentali anziché di quelle a medio raggio e il rilancio di Fiumicino anziché Malpensa sono tutte mosse che darebbero fastidio ai francesi, che semmai contavano di ritagliare per Alitalia un ruolo di vettore regionale e sfruttare Malpensa per convogliare traffico verso l’hub di Parigi.

Basterà questo perché Parigi provi a giocare al rialzo per stoppare l’avanzata europea della compagnia di bandiera degli Emirati Arabi Uniti (che già controlla il 30% dei Air Berlin, ma l’intenzione è quella di arrivare al 49,9%)? Difficile fare una previsione, visti i continui colpi di scena degli ultimi anni e l’elevata interferenza politica nella vicenda. Quel che sembra chiaro è che se anche fosse non ci si può aspettare un “bis” dell’offerta che Silvio Berlusconi stoppò quasi sei anni fa, rispetto alla quale l’attuale offerta di Ethiad è certamente una “seconda miglior ipotesi”, ma è pur sempre una ipotesi migliore che non continuare a fingere che Alitalia possa continuare a stare sulle sue gambe senza interventi risolutivi che finora nè gli imprenditori italiani coinvolti nè le banche sono riusciti a varare.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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