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Alitalia, anche Del Rio se ne accorge: sono problemi seri

Quelli di Alitalia sono “problemi seri”. Dopo 3 miliardi di perdite cumulate negli 8 anni dalla privatizzazione a oggi se ne accorge anche il ministro dei Trasporti, Graziano Del Rio…
A cura di Luca Spoldi
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Quelli di Alitalia “sono problemi seri, la preoccupazione c’è eccome, non si affrontano a cuor leggero”. A scoprire l’acqua calda è il ministro dei Trasporti, Graziano Delrio, che oggi ha incontrato i sindacati in attesa di conoscere il piano industriale con cui si cercherà di far sopravvivere l’ex compagnia di bandiera, che da inizio 2009, quando i “capitali coraggiosi” accettarono di riunirsi nella cordata Cai per rilevare, per 1,052 miliardi la parte “sana”, si fa per dire, dell’ex Alitalia già commissariata, non ha mai volato un solo giorno in utile.

A provarsi nell’impresa furono una ventina di soci (dalla Immsi di Roberto Colaninno, ad Atlantia della famiglia Benetton, da Pirelli, al gruppo Marcegaglia, dal gruppo Riva ad altri “bei nomi” dell’industria italiana), cui in seguito si unì, a fine 2014, il vettore Ethiad (ma anche Poste Italiane), cui Cai rivendette per 550 milioni di euro il 49% della compagnia. Di più non era e non è possibile, pena la perdita dei diritti sugli slot aeroportuali, dato che Alitalia perderebbe lo status di compagnia europea.

Dal 2008 a fine 2016 Alitalia ha accumulato quasi 3 miliardi di euro di perdite: ai 326 milioni di rosso del 2009, si aggiunsero infatti 168 milioni di perdita nel 2010, altri 69 milioni nel 2011, poi 280 milioni nel 2012, 569 milioni nel 2013, 580 milioni nel 2014 e 381 milioni nel 2015. Il risultato 2016 non è ancora stato annunciato ufficialmente, ma le stime parlano di una perdita tra i 400 e i 600 milioni di euro, per un totale tra i 2.773 e i 2.973 milioni di perdite cumulate.

Come è possibile che nonostante la privatizzazione e l’individuazione di un partner industriale del peso di Ethiad Alitalia non sia mai riuscita a trovare la strada per andare se non in utile almeno in pareggio? C’è chi dice che il settore sia strutturalmente in perdita, a causa della concorrenza spietata che le low cost fanno alle compagnie di maggiori e media dimensione, ma allora non si capisce come faccia Ryanair, che pure subisce la concorrenza di altre low cost, ad aver chiuso l’esercizio 2015-2016 con 1,242 miliardi di euro di utile netto.

Altri sottolineano come il problema sia nato alla radice: quando nel 2006 l’Air One di Carlo Toto, per tentare di strappare ad Alitalia le leadership del mercato italiano, sottoscrisse 40 ordini fermi e 50 opzioni con Airbus (al prezzo, si disse all’epoca, “scontato” di 29 milioni per aereo contro i 35 milioni del prezzo di listino), finanziato da un pool di banche composto da Intesa Sanpaolo, Mps, Hsh Nordbank e Calyon-Credit Agricole, Toto fece il passo più lungo della gamba e i suoi creditori iniziarono a sudare freddo.

Gli aerei, presi in leasing, vennero poi girati ad Alitalia assieme ai loro onerosi contratti di locazione al momento della fusione tra la stessa Air One e l’ex compagnia di bandiera al momento dell’ingresso di Cai nel 2008. Nel frattempo Intesa Sanpaolo agiva da advisor del venditore (il Tesoro italiano) tutelando gli interessi “di sistema” ma soprattutto i propri di creditore.

Perché allora i più importanti imprenditori italiani non hanno opposto un cortese ma fermo “no grazie” e perché non si è venduto subito la compagnia ad Air France o Lufthansa, che sino a poco tempo prima erano sembrate interessate ad un’eventuale acquisizione? Per chi non avesse memoria, la prima domanda trova risposta negli intrecci di un sistema economico come quello italiano (tuttora) fortemente banco-centrico, in cui spesso le condizioni favorevoli su alcuni finanziamenti si scontano accettando di “fare la propria parte” anche in partite in cui la speranza di ricavare qualcosa è minima per non dire nulla.

Per rispondere alla seconda domanda bisognerebbe chiedersi il senso della politica industriale voluta dai governi italiani, in particolare dal quarto governo Berlusconi che a fine 2008 benedì la discese in campo di Cai e del precedente governo Prod, il cui tentativo di cedere il 39% del capitale del vettore, nel 2006, si rivelò un completo fallimento, così come rimase lettera morta l’accordo con Air France-Klm raggiunto nel marzo del 2008. Il risultato, al di là del “colore” politico non cambia: non essendo stati in grado, mai, di trasformare il brutto anatroccolo in un cigno, Alitalia continua ad accumulare perdite ogni giorno. Fino a quando qualcuno non chiederà l’ennesimo “salvataggio” sulla pelle dei contribuenti?

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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