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Opinioni

A metà del guado, in attesa delle mosse di Berlino

Sia i mercati finanziari sia lo scenario macroeconomico sembrano a metà del guado, in attesa che il quadro migliori. Converrebbe anche a Berlino, sempre che non voglia approfittare della crisi per far shopping…
A cura di Luca Spoldi
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Inaugurazione anno accademico all'Università Bocconi

Scrive lo strategista Alessandro Fugnoli (Kairos Partners), che in questi giorni le borse attraversano “una di quelle classiche fasi in cui è ancora presto per comprare ed è tardi per vendere”, perché oltre ai temuti effetti del possibile “fiscal cliff” che negli Usa potrebbe scattare a fine anno se non si arriverà a un accordo bipartisan su una rimodulazione delle esenzioni fiscali e sui tagli alla spesa pubblica, nonché le impasse della crisi europea, gli investitori stanno iniziando a vedere nuovamente dati macroeconomici negativi (negli Usa pesa il “dopo Sandy”, il Giappone è entrato nell’ennesima recessione, che per fortuna non coinvolge il resto dell’Asia ma non rasserena gli animi, l’Europa continua ad annaspare).

Guardando agli ultimi dati pubblicati in Europa non si può dare torto agli investitori più prudenti: il Pil di Eurolandia è infatti calato dello 0,1% a livello aggregato nel III trimestre (mentre nella Ue-27 il Pil è cresciuto dello 0,1%), ma soprattutto quel che saltano all’occhio sono le divergenze che persistono nella velocità a cui si muovono i vari paesi del vecchio continente: secondo quanto riporta Eurostat, il Pil nel terzo trimestre del’anno è calato dell’1,1% in Olanda, dello 0,8% in Portogallo e dello 0,5% in Cipro, mentre è cresciuto dell’1,7% in Estonia e Lettonia, dell’1,3% in Lituania e dell’1% in Gran Bretagna. Su base annua le variazioni peggiori sono quelle della Grecia (-7,2%), del Portogallo (-3,4%) e dell’Italia (-2,4%), mentre le migliori sono segnate da Lettonia (+5,3%), Estonia (+3,4%) e Lituania (+3,3%).

Quanto alle due nazioni “guida” della Ue, la Germania segna +0,2% nel trimestre, +0,9% su base annua, mentre il Pil francese registra un incremento dello 0,2% su base trimestrale, dello 0,1% sui dodici mesi. Secondo Fugnoli, in compenso, “Gennaio, verosimilmente, vedrà una bella schiarita. L’effetto Sandy sarà rientrato e si trasformerà anzi in un piccolo stimolo per il Pil” (statunitense). In campo fiscale il “fiscal cliff” sarà stato in qualche modo superato (si spera nel modo meno traumatico possibile), insomma gli investitori potrebbero tornare a guardare con maggiore fiducia le prospettive del mercato azionario americano. Non è detto che possano essere altrettanto ottimisti in Europa, salvo che il rigore fiscale non si attenui e rallenti così la caduta del Pil nell’Europa del Sud.

In parte, a dare retta a Fugnoli, sta già avvenendo in modo discreto e tale da non “infastidire” gli elettori tedeschi: “Fino alla fine del 2011, infatti, il piano di marcia tedesco per Eurolandia prevedeva per tutti i paesi membri disavanzi pubblici sotto il 3% dal 2013. Mese dopo mese, paese dopo paese, questo programma è stato di fatto accantonato. A molti paesi si chiede ormai solo di continuare lentamente a ridurre il disavanzo, sapendo fin d’ora che sarà già tanto se, con una recessione in corso o incipiente (Francia) si riuscirà a mantenerlo stabile”. Berlino, spiega l’analista, ha deciso da tempo di “lavorare sui disavanzi strutturali dei paesi in crisi, chiudendo un occhio sulla componente ciclica” e “sarebbe bello, da qui in avanti, che le pressioni tedesche si esercitassero, più che sui saldi finali dei disavanzi, sul modo per arrivarci”.

Oltre che bello sarebbe saggio, per evitare l’ulteriore crescita di un disagio sociale che è già profondo in tutto il Sud Europa e che rischia di remare contro il tentativo di far convergere (e sarebbe ora) i paesi di Eurolandia verso un’autentica unione non solo monetaria ma anche (come è auspicabile avvenga) bancaria, fiscale e politica, con regole uguali per tutti e un rigoroso controllo delle loro applicazioni, ma anche strumenti per riallocare l’eccesso di capitali che da mesi inonda i paesi del Centro-Nord Europa (che ormai sono arrivati a emettere titoli di stato a breve termine a tassi nominali negativi, quelli reali essendo da tempo inferiori o prossimi allo zero per un largo tratto della curva dei tassi per paesi come Norvegia, Finlandia, Olanda o Germania).

Secondo Fugnoliper la Grecia ci si sta già avviando in questa direzione. Il piano della troika è molto minuzioso, molto micro. Atene lo ha approvato integralmente e si è già incamminata concretamente sul percorso prescritto. A questo punto sarebbe molto imbarazzante, per la Germania, staccare la spina finanziaria che tiene in vita la Grecia. Per Berlino il problema è solo quello di rendere gli aiuti poco visibili, non quello di eliminarli”. Sarà vero? Il mio illustre collega conosce molto bene ciò di cui parla dunque è legittimo credergli, ma certo si fatica non poco a credere che la Germania vorrà a tutta forza creare concorrenti in grado di competere con le proprie aziende e le proprie banche, grazie a una ritrovata (sia pure dolorosamente) competitività.

Così il dubbio che mi resta è che le aziende tedesche stiano se non approfittando certo beneficiando e non poco della crisi, al punto che potrebbero decidere presto di fare un po’ di shopping. Dico da tempo che se confrontiamo i dati un gruppo come Volkswagen con quelli di Fiat non ci possano essere dubbi su chi sarà in grado, eventualmente, di comprare (e chi finirà col dover vendere) da qui ai prossimi 10-15 anni. Merito dei manager e dei banchieri tedeschi e non da ora, sia chiaro: ma la crisi sta accelerando e distorcendo il gioco competitivo, dato che la possibilità che hanno banche e aziende tedesche (e non solo) di finanziarsi a tassi prossimi a zero consente loro di fare proposte commerciali più agguerrite e sostenere investimenti più robusti, arrivando così a offrire prodotti e servizi migliori a costi inferiori a quelli di un gruppo italiano (o spagnolo, o francese).

Secondo quanto riferisce il Wall Street Journali costi di autofinanziamento di Volkswagen sono scesi a un terzo di quelli di rivali come Fiat e Peugeot nelle ultime aste di bond” e questo è la dimostrazione di come il sistema finanziario europeo resti fortemente frazionato (come più volte sottolineato anche dal presidente della Bce, Mario Draghi, che in molti da Berlino accusano di essere troppo a favore di Spagna e Italia). Accetteranno di buon grado questi gruppi che sia Berlino stesso a favorire un graduale superamento della crisi dando i mezzi a Grecia, Portogallo, Spagna e Italia per ristrutturare le proprie economie e creare dunque dei nuovi “campioni” nazionali in grado di sfidare i maggiori attori economici del Nord Europa? O non cercheranno di rilevare i marchi, gli impianti, i brevetti migliori?

Qualcosa già si è visto (si pensi alla Ducati), altro rischia di vedersi (si parla insistentemente di uno scorporo delle attività italiane da quelle internazionali di UniCredit): avranno imprenditori e politici italiani e spagnoli la capacità e la forza di rifiutare eventuali offerte d’acquisto da parte di Berlino? Comunque la si giudichi la crisi in corso è epocale in quanto trasformerà sin nelle fondamenta il vecchio continente, auguriamoci solo che il risultato netto sia positivo per noi e per i nostri giovani e che non si sacrifichi il loro futuro nel tentativo di difendere privilegi e rendite di posizione di “poteri” una volta forti ed ormai debolissimi ma per nulla intenzionati a farsi da parte, come purtroppo tipico del capitalismo familiare italiano.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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