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50 anni fa moriva Buster Keaton, l’uomo che non rideva mai

Joseph Frank “Buster” Keaton muore il 1° febbraio del 1966: il maestro del cinema muto classico diventa famoso negli stessi anni di Chaplin, ma la sua arte non sopravvive all’avvento delle major e alla rivoluzione del sonoro. Il suo è un cinema etereo, fatto di illusioni ottiche e continui cambi di significato, un cinema che non ha bisogno di parole. Né di sorrisi: “Quando sbagliavo prendevo un sacco di scappellotti. Avevo imparato ad essere un comico che non ride di quello che fa”.
A cura di Federica D'Alfonso
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"Quando avevo sei mesi cascai giù per una scala lunghissima, alla fine della rampa mi misi seduto e non mi spuntò neppure una lacrima. Houdini esclamò ‘Che bel capitombolo!'. Mio padre commentò ‘suona bene come nome'": nasce così "Buster" Keaton, "buster" perché cade, ma non si rompe. L'espressione impassibile, lo sguardo quasi impietrito e una comicità eterea, tanto diversa da quella dei contemporanei Charlie Chaplin e Harry Langdon: caratteristiche che lo renderanno per sempre un'icona indiscussa del cinema muto fatto di trucchi, sequenze spettacolari e storie raccontate senza bisogno di parole. I suoi film incassarono spesso quanto quelli di Chaplin, ma la sua arte non sopravvisse alla rivoluzione del sonoro: nonostante l'Oscar alla carriera, conferitogli nel 1959, per molto tempo il cinema non ha riconosciuto la grandezza di questo genio della pellicola.

Nato in Kansas il 4 ottobre 1895, a quattro anni Buster già recitava insieme ai genitori nella compagnia di vaudeville di famiglia, con una barba finta irlandese, una cuffia per sembrare calvo e galosce ai piedi. Diventò famoso come "l'uomo che non ride mai": un'immagine creata dalla pubblicità cinematografica degli anni Venti che rispecchia uno degli aspetti più rappresentativi della sua recitazione, l'impassibilità del viso anche durante numeri spericolati. "Quando sbagliavo prendevo un sacco di scappellotti", raccontava lui stesso nelle rare interviste. "Avevo imparato ad essere un comico che non ride di quello che fa".

Rovesciamenti di senso all'insegna di una continua ricerca  di logica, una contraddizione che nei suoi film fa cambiare continuamente la percezione della realtà: le azioni semplici diventano complesse e quelle impossibili diventano facilissime, ciò che sembra innocuo diventa un pericolo e le avversità si rivelano aiuti impensati. Keaton fu infatti molto amato dai surrealisti: nel suo cinema tutto quello che è reale diventa astratto, surreale, tutto ciò che è sbagliato è anche giusto e viceversa. Celeberrimo il suo film "One Week", in cui una casa prefabbricata montata male diventa una giostra che ruota su se stessa.

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Tra il 1920 e 1923 Keaton interpreta 23 cortometraggi di cui cura anche la regia, per poi cimentarsi in dodici lunghi tra il 1923 e il 1929. Se nei primi film Keaton ebbe piena libertà d'espressione, grazie all'indipendenza di cui godeva in generale il cinema del periodo, negli ultimi le influenze delle major si fecero sempre più forti e anche la qualità dei film inevitabilmente ne risentì. Quello che per Charlie Chaplin fu un punto di forza, per Keaton segnò la fine della sua arte. I film di Keaton non erano preparati alla grande macchina che di lì a poco si sarebbe messa in moto: Hollywood.

Con l'arrivo del sonoro nella seconda metà degli anni '30 Keaton si allontana dal cinema: è un artista in crisi, un uomo depresso fino a dover trovare rifugio nell'alcool. Nel 1950 compare nel bellissimo "Viale del tramonto" di Billy Wilder, e successivamente anche accanto a Charlie Chaplin per il celebre film "Luci della ribalta". Con molti anni di ritardo arriverà anche la consacrazione da parte della Mostra del cinema di Venezia: nel 1964 una sala gremita si alza in piendi al grido di "Viva Buster!". Di fronte a quel tripudio anche il viso impassibile di Keaton si ammorbidì, e un lieve sorriso gli comparve sul volto. Il comico, ormai settantenne, si piegò in avanti e disse semplicemente: "Mi fa piacere vedervi". Era il primo settembre 1965: cinque mesi dopo un cancro ai polmoni se lo porta via, pochi giorni dopo aver concluso il suo ultimo film, "Dolci vizi al foro".

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