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29 anni fa la “strage di Natale” sul Rapido 904: 17 morti, 267 feriti

Il 23 dicembre del 1984 un ordigno esplose sul rapido 904. Il treno, partito da Napoli, era diretto a Milano e trasportava centinaia di passeggeri in viaggio verso i loro cari. Fu una strage di mafia che vide anche la partecipazione di destra estrema, camorra, esponenti della Banda della Magliana e membri della loggia P2.
A cura di Davide Falcioni
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Il 23 dicembre del 1984 era domenica. Sul treno "rapido 904" viaggiavano centinaia di passeggeri lungo la direttrice Napoli-Milano. Tornavano a casa per le feste natalizie, oppure andavano a trovare fidanzate, genitori, figli lontani. Alle 19.08, appena entrato nella galleria di San Benedetto Val di Sambro, il convoglio esplose. Fu una catastrofe. Quindici persone morirono subito, 267 rimasero ferite: due di loro persero la vita qualche giorno dopo a causa delle gravissime ferite. Non fu un incidente, ma un attentato: la detonazione fu provocata da una carica di esplosivo radiocomandata posta su una griglia portabagagli del corridoio della 9ª carrozza di II classe, a centro convoglio. L'ordigno era stato collocato sul treno durante la sosta alla Stazione di Firenze Santa Maria Novella, per esplodere lungo un tratto dell'Appennino dove il treno viaggiava a circa 150 chilometri orari. Dieci anni prima, non molto distante da lì, un attentato simile venne realizzato sull'espresso Roma-Monaco di Baviera in quella che venne chiamata la "Strage dell'Italicus". Allora morirono 12 persone: non soddisfatti, gli attentatori fecero esplodere il rapido 904 in un tunnel per incrementare l'effetto distruttivo dell'esplosione. I soccorritori, infatti, faticarono non poco per raggiungere il luogo del disastro, giacché le linee elettriche vennero danneggiate dalla detonazione, mentre il fumo denso bloccava l'accesso alla galleria. Occorse più di un'ora e mezza prima che i primi aiuti riuscissero a raggiungere quello che restava del treno per estrarre faticosamente morti e feriti. Tutto venne progettato meticolosamente con l'obiettivo di provocare il più alto numero di vittime possibili. La potenza dell'esplosivo (composto da pentrite, T4, nitroglicerina e tritolo), l'esplosione in un tunnel e la coincidenza con le feste natalizie, che avrebbero fatto viaggiare un più alto numero di passeggeri.

La Strage di Natale vide il coinvolgimento di ambienti dell'estrema destra, criminalità organizzata e apparati "deviati" dello Stato. L'esplosivo utilizzato venne consegnato agli esecutori da Massimo Abbatangelo, parlamentare del Msi, condannato successivamente a 6 anni di reclusione. Il mandante della strage fu invece Totò Riina. Secondo la Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli l'attentato si inserì in un disegno strategico di Riina per far apparire il disastro come un fatto politico e come risposta al maxi processo a Cosa Nostra. Gli inquirenti spiegarono: "La strage del rapido 904 si inserì nella cosiddetta strategia stragista dell'organizzazione mafiosa siciliana, ideata e perseguita dall'ala corleonese facente capo a Riina, allo scopo di condizionare gli esiti del maxiprocesso, esercitando ogni possibile forma di pressione sugli apparati dello Stato. Tali pressioni, nelle intenzioni di Riina, e secondo quanto dichiarato dai collaboratori di giustizia, erano peraltro destinate ai (veri o presunti che fossero) referenti politici del mafioso, quale sostanziale forma di ricatto, al fine di indurre tali soggetti ad intervenire efficacemente per condizionare, a livello giudiziario, ed a beneficio dell'organizzazione, l'andamento del maxiprocesso".

Al centro della scena, dunque, la mafia. L'organizzazione criminale si trovò a dover fronteggiare nuove leggi ed indagini, e per questo diede vita a una vera e propria guerra nella quale persero la vita, tra gli altri, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Cesare Terranova, Pio La Torre e il padre del “pool antimafia”, Rocco Chinnici. Le istituzioni reagirono con veemenza, la Mafia rispose con una strage. Le indagini sollevarono il velo sui responsabili: a soli tre mesi dal disastro, infatti, vennero rinvenute a Roma due valigette contenenti radiocomandi a lungo raggio. Il proprietario dell'immobile era Guido Cercola, il luogotenente del boss Pippo Calò, referente di Cosa Nostra nella Capitale al quale venne dato il compito, tra l'altro, di vegliare sui fondi delle cosche, custoditi nello Ior. Ma la Mafia si servì anche di uomini della Banda della Magliana, camorristi, massoni della P2 ed ambienti della destra eversiva. Il dispositivo radiocomandato utilizzato nella strage – costato 18 milioni di lire – venne realizzato da Friedrich Schaudinn. A pagarlo fu proprio Calò. Le relazioni tra tutti questi ambienti vennero rese note al maxiprocesso dell'8 novembre 1985, di fronte al giudice istruttore Giovanni Falcone.

I NOMI DELLE VITTIME:  Giovanbattista Altobelli (51 anni); Anna Maria Brandi (26), Angela Calvanese in De Simone (33);  Anna De Simone (9);  Giovanni De Simone (4); Nicola De Simone (40);  Susanna Cavalli (22); Lucia Cerrato (66); Pier Francesco Leoni (23); Luisella Matarazzo (25); Carmine Moccia (30); Valeria Moratello (22); Maria Luigia Morini (45);  Federica Taglialatela (12); Abramo Vastarella (29); Gioacchino Taglialatela (50 successivamente);  Giovanni Calabrò (67 successivamente).

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