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#25aprile: 70 anni dopo, Resistere è un atto d’amore

Settanta anni dopo, il senso del ricordo del 25 aprile. Dalle parole di Gramsci all’esempio di chi, 70 anni fa, ha odiato, lottato, vinto. E amato.
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"Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare.

Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo? […] Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. […] Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti”.

Queste parole (che qui abbiamo declinato in altro modo), come molti di voi ben sapranno, portano la firma di Antonio Gramsci e sono datate 11 febbraio 1917. Ben prima che l'oblio fascista calpestasse la coscienza di un intero Paese, ben prima che la follia nazista portasse il mondo ad un passo dal baratro, ben prima che la lotta partigiana e la volontà alleata liberassero l'Italia. Parole che costituiscono un lascito fondamentale e che rappresentano una chiave di lettura per l'intera storia, anche recente, del nostro Paese. Perché ci inchiodano alle nostre responsabilità. Perché ci spingono a fare i conti con il "non dato", allontanando il banale determinismo degli eventi. Perché ci obbligano a fondere dubbio e azione, volontà e passione, non dando mai nulla per scontato. Perché ci consentono di dare il giusto senso alla vita, alle azioni di coloro che seppero spezzare le catena dell'indifferenza, della paura, della sottomissione e, a rischio della loro stessa vita, "scelsero" la lotta ed il rifiuto del giogo nazi – fascista. Scelsero di lottare anche per la nostra generazione.

E la lotta partigiana è a maggior ragione un simbolo quando il distacco e la disillusione nei confronti della politica scivolano nell'indifferenza e nel disimpegno. Quando la superficialità e la mediocrità delle idee assurgono a valore assoluto, quando il basso populismo diviene l'unica modalità di comunicazione politica, quando il qualunquismo impera nelle valutazioni e negli stessi programmi politici. La lotta partigiana ci ricorda la nostra "responsabilità". E ci insegna ad "odiare" gli indifferenti, gli ignavi, il "Paese che si merita Alberto Sordi", i qualunquisti a gettone, i populisti per interesse.

Ma soprattutto ci insegna ad amare sempre, qui e ovunque, oggi e domani. A cercare sempre libertà, giustizia sociale e umanità, a predicare la solidarietà, l'uguaglianza, l'aiuto reciproco. Ad amare l'utopia come stimolo a mettersi in cammino, a rifiutare il destino ineluttabile, a smetterla di sperare e cominciare a lottare per un mondo migliore. E ci insegna ad amare noi stessi e gli altri, come argine alla corrente, al flusso indistinto ed omologante, nella consapevolezza del peso che ogni singola scelta individuale può, o almeno potrebbe, avere.

Oltre il peso di una battaglia ideologica e politica, che resta, oltre la riaffermazione dell'antifascismo come valore fondante la nostra comunità nazionale, che non va dimenticata, c'è anche il senso più profondo del ricordo della Resistenza: quello della consapevolezza del valore che ha ogni singola scelta, quello del sacrificio personale per "liberare sé stessi e il proprio Paese" dalla vergogna, dal disumano. Già, perché nell'epoca del revisionismo e del "sono tutti uguali", rischiamo di perdere di vista che la Resistenza fu un atto d'amore. Anche, se non soprattutto, verso quella che tutti noi dovremmo chiamare "patria".

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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