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180 anni fa moriva Giacomo Leopardi: da Recanati a Napoli, tutti i luoghi della sua poesia

Il colle di Recanati, la casa paterna con la sterminata biblioteca, e ancora: le pendici del Vesuvio e il Parco Virgiliano di Napoli. Luoghi non soltanto fisici, ma anche spirituali e poetici: nell’anniversario della morte di Leopardi, è doveroso riscoprirli.
A cura di Federica D'Alfonso
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Giacomo Leopardi ritratto da A. Ferrazzi, Casa Leopardi, Recanati
Giacomo Leopardi ritratto da A. Ferrazzi, Casa Leopardi, Recanati

Il 14 giugno del 1837, alle cinque di pomeriggio, nell'appartamento di Vico Pero di Napoli che condivideva con l’amico Antonio Ranieri, muore Giacomo Leopardi. Una poetica complessa, che passa attraverso numerose fasi contraddistinte dal un mutevole rapporto dell’uomo con la natura, con i suoi simili e con il mondo intero. Il pessimismo leopardiano ha scardinato le certezze svelando i meccanismi spietati che l’essere umano rivolge contro se stesso, riuscendo, attraverso l’interrogazione della “silenziosa” natura, a ripensare il fondamento ultimo dell’umanità.

Nella poesia di Leopardi, fin dall'inizio, i luoghi fisici si confondono con i luoghi dell’anima: Recanati, la biblioteca paterna, il colle solitario; e ancora, Roma e poi Napoli, spazi fisici che si dilatano gradualmente, scomparendo, per lasciare posto alla parola. Dopo più di un secolo e mezzo, ritornare in quei luoghi è ancora estremamente affascinante.

A Recanati, dal Palazzo all’ermo colle dell’Infinito

I primi anni e le prime poesie sono intensamente impregnate dell’aria recanatese: un’aria per lui soffocante, chiusa, il cui odore ricorderà per sempre a Giacomo il distacco della madre e l’oppressione di suo padre. Un’aria pesante, che darà però lo slancio, il via, a quella ricerca d’infinito propria del giovanissimo Leopardi. È nella sua casa, a Palazzo Leopardi, che giacomo trascorre gli anni della giovinezza: gran parte del tempo è occupato dallo studio nella famosissima biblioteca paterna, che ancora oggi custodisce oltre 20 mila volumi e che, insieme alle altre stanze della casa natale, è aperta al pubblico.

Il "colle dell'Infinito", a Recanati
Il "colle dell'Infinito", a Recanati

Qui prendono vita i primi testi poetici, e qui Giacomo trascorre i sette anni di “studio matto e disperatissimo” che lo porteranno alla composizione dei grandi capolavori. Ma qui, il giovane che ha ormai ventuno anni, inizia anche a guardare oltre. Guarda fuori, oltre le pareti, e conosce l’amore e l’impossibilità di esso: scrive a Silvia, ricordando un periodo della sua vita che sembra ormai passato, e con la mente tornerà più volte a quei luoghi, sublimati nel Canto notturno del pastore errante nell’Asia, vero capolavoro. Dalla piazza che si apre di fronte a lui nascono i personaggi e le figure del “Sabato del Villaggio”, e sulla cima del monte Tabor prende vita una delle poesie più famose e belle di Leopardi.

Giacomo fantastica su ciò che c’è oltre quella siepe, e la sua interrogazione si sublima attraverso le figure retoriche in un vero e proprio canto esistenziale: “e mi sovvien l’eterno, e le morte stagioni, e la presente e viva, e il suon di lei”. Oggi, all’interno del parco, si trova il Centro Mondiale della Poesia e della Cultura, sede di importanti convegni internazionali; ma ancor di più, si può ripercorrere il parco, fino al punto in cui probabilmente, il poeta compose la poesia.

Napoli e lo “sterminator Vesevo”

La tomba di Leopardi, presso il Parco Virgiliano di Napoli
La tomba di Leopardi, presso il Parco Virgiliano di Napoli

Ma è a Napoli che si compirà il miracolo poetico e si consumerà la tragedia personale: dal 1833 Giacomo Leopardi vivrà fra Torre del Greco e Torre Annunziata con Antonio Ranieri e sua sorella Paolina. Qui fallisce il progetto di un’edizione completa delle sue opere, e nel frattempo la sua salute si aggrava inesorabilmente. Esistono anche qui alcuni luoghi affascinanti, legati al nome di Leopardi: prima fra tutti Villa Ferrigni, conosciuta anche come “Villa delle Ginestre”, a Torre del Greco, “su l’arida schiena del formidabil monte sterminator Vesevo”.

È dalla veduta dell’edificio settecentesco che Leopardi trarrà ispirazione per i suoi ultimi capolavori: qui scrisse i “Pensieri”, “Il tramonto della Luna” e “La ginestra”. Qui l’infelicità si trasforma infine nel dato peculiare della natura umana. Gli uomini possono solo prenderne atto e, attraverso la consapevolezza della tragedia, sperare in un barlume di luce grazie alla loro unione: “O fior gentile, e quasi i danni altrui commiserando, al cielo di dolcissimo odor mandi un profumo, che il deserto consola. A queste piagge venga colui che d’esaltar con lode il nostro stato ha in uso, e vegga quanto è il gener nostro in cura all’amante natura”.

Altro luogo suggestivo è senza dubbio la presunta tomba, situata nel Parco Virgiliano a Piedigrotta: il corpo di Leopardi non fu gettato in una fossa comune come volevano le norme igieniche dell’epoca a causa dell’epidemia di colera, ma venne sepolto nella Chiesa di San Vitale Martire, a Fuorigrotta. Esistono non pochi dubbi circa la veridicità di questo episodio, raccontato dallo stesso Antonio Ranieri: nel 1900 prima, e negli anni Trenta poi, i presunti resti di Leopardi vennero più volte riesumati, fino alla definitiva collocazione nel Parco di Piedigrotta nel 1939. Nonostante sia quasi certo che i resti celati dalla tomba non siano quelli del poeta recanatese, questo luogo resta estremamente suggestivo: un luogo pieno di passato e poesia, dove i versi di Leopardi, assieme a quelli di Virgilio, sembrano quasi risuonare fra gli alberi.

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